Pubblichiamo l'intervento di Dario Missaglia al seminario della Flc Cgil "Professionalità e formazione per ricostruire la scuola democratica", che si è svolto il 12 luglio 2021.
Il tema della professionalità docente ha sempre accompagnato la storia del nostro sindacato e così continuerà ad accadere, perché la natura della professionalità è storicamente dinamica. Non sono i nostri schemi a determinarla ma le tendenze socioeconomiche e culturali della società; il nostro ruolo e la nostra responsabilità stanno nella lettura di quelle tendenze e nelle risposte che siamo capaci di mettere in campo.
Eludere questo impegno sarebbe non solo un micidiale impoverimento culturale e politico della nostra organizzazione ma anche il rischio letale di esporre migliaia di docenti a subire passivamente, e purtroppo non sarebbe la prima volta, le trasformazioni che già premono sul mondo della scuola. Ed è su questo scenario che intendo soffermarmi brevemente, senza richiami al passato e a esperienze che è bene siano conosciute dal nuovo gruppo dirigente, anche grazie alla testimonianza viva di compagni a cui va la mia stima e amicizia, come Emanuele Barbieri, Enrico Panini, Mario Ricciardi.
Pongo l’accento sull’oggi perché mi pare che siamo in un momento inedito della nostra società: la pandemia non ha prodotto soltanto un carico di morte e disperazione; ha disvelato modelli sociali, culturali ed economici irriproponibili, bisogni e diritti compressi e posti ai margini (salute, lavoro, istruzione). Lo scossone ha mandato in frantumi il modello socioeconomico dominante di questi ultimi 20 anni e anche le politiche economiche europee che lo avevano assecondato.
Mi fermo un istante per sottolineare che solo già questo primo aspetto, credo indiscutibile, interroghi profondamente la professionalità docente.
Dewey lo ha sintetizzato in maniera mirabile: “Non si può insegnare senza sapere dove va la società”. L’insegnamento non può essere una attività cieca: non vive separato dalla realtà in cui è immerso il soggetto che apprende e anche lo stesso soggetto che insegna. Noi, e se volete il movimento attivista che ha caratterizzato nel Novecento il mondo degli insegnanti, abbiamo caricato questo approccio anche di un valore etico e politico perché, per riprendere l’assioma di Dewey, la società va dove l’iniziativa delle persone condiziona il processo storico. “La scuola a misura di Costituzione” è per noi la traduzione di questo principio, politico, etico e insieme pedagogico. Per diventare principio orientativo della professionalità, ha bisogno di trasformarsi in necessità scientifica, in conoscenza. Sapere “dove va la società” richiede, da parte di chi insegna, conoscenze specifiche, capacità di indagine e riflessione, conoscenza dei dati e rielaborazione degli stessi, individuazione dei bisogni formativi della persona cui l’attività si rivolge, conoscenza approfondita dei contesti di riferimento: la società è, mai come oggi, il mondo intero, la comunità internazionale e anche il territorio fisico e antropologico in cui viviamo e svolgiamo la funzione educativa.
Un compito complesso e tuttavia fondamentale perché senza questo approccio scientifico, quel principio rischia di ridursi a una nobile petizione etica, incapace di lasciare una traccia concreta nel processo educativo, o peggio, di aprire una clamorosa contraddizione tra una ostentata scelta politica progressista e una pratica didattico-pedagogica conservatrice. Questa dimensione etico-politica della professionalità non è assicurata dai processi formativi a monte del lavoro docente, ma può essere l’esito di un processo alimentato e rivendicato da un movimento di riforma che intenda fare dei contenuti del lavoro e della loro innovazione, il perno di una strategia per la qualità dell’insegnamento e della scuola.
Due potenti ostacoli si ergono di fronte a chi volesse compiere questa scelta.
Quello che è più visibile ma non per questo il più pericoloso, è il modello gentiliano di professionalità. Un modello potente che ha segnato la scuola del nostro Paese e che continua ad avere, in alcuni ambienti, anche a sinistra, un qualche significativo consenso: è l’idea del docente come persona “speciale”, individuo arbitro della propria preparazione e unico detentore del potere valutativo che l’istituzione gli assegna. Una figura che trae il suo potere dalla specializzazione disciplinare della sua funzione: unico metro di attribuzione di valore alla professione, tradotta nel prestigio della disciplina di cui si è titolari e nel numero di ore che l’insegnante dedica ai propri alunni. Una figura capace, per vocazione, di comunicare e trascinare i propri alunni verso le alte mete del sapere. Chi si perde lungo il percorso è semplicemente inadatto a questo alto e difficile obiettivo. Non esiste bisogno di formazione, aggiornamento, potenziamento della propria professionalità: questo docente è in grado da sé di provvedere al mantenimento del suo alto profilo professionale.
Non mi soffermo oltre; la critica a questo modello professionale e di scuola, quella liceale, è stata ancora recentemente oggetto delle nostre riflessioni e anche Francesco Sinopoli ha scritto e affermato in proposito parole inequivocabili che condivido.
Il secondo ostacolo è meno ideologicamente visibile ma decisamente più pesante nel condizionare il processo reale che segna l’attività all’interno delle scuole. Mi riferisco al predominio di tipo burocratico/amministrativo che segna ancora oggi profondamente l’organizzazione della scuola. L’organizzazione delle cattedre, gli orari, un modello organizzativo cristallizzato negli orari definiti a inizio anno che segna la vita delle persone. Un modello taylorista-burocratico in cui ciascuno partecipa nella frazione oraria assegnata e nel compito “disciplinare” a lui riservato. Il Ministero che, con la riforma dell’autonomia scolastica, avrebbe dovuto nel tempo orientare la propria azione sul versante dell’indirizzo e del controllo della macchina amministrativa, non ha ceduto alcuna delle proprie funzioni e si ostina a normare ogni singolo aspetto del lavoro e della attività della scuola, salvo poi non essere in grado di controllarne gli esiti sotto il profilo qualitativo. L’adesione alla norma continua ad essere il metro di funzionamento e di valutazione nell’organizzazione del lavoro; le procedure trionfano sulla gestione dei processi, rendendo marginale il contributo dei lavoratori e alimentando una cultura subalterna e remissiva in cui è “premiato” chi rispetta la norma e non rischia con l’iniziativa individuale o di gruppo. L’invocazione degli organi collegiali e della loro valorizzazione per contrastare questa deriva, tema del quale dobbiamo tornare a discutere, non è in grado di produrre gli effetti auspicati. Non dimentichiamoci che gli organi collegiali nascono per incidere sulla gestione della scuola come istituzione, non per incidere sulla organizzazione del lavoro nella scuola.
Il tema della professionalità va pertanto ricondotto per intero alle politiche del sindacato, costruendo le condizioni per un movimento di riforma dei contenuti del lavoro di tutte le professionalità della scuola, di cui siano innanzitutto protagonisti i lavoratori stessi. È impensabile un cambiamento della professionalità e un progetto per la formazione continua dei docenti senza la partecipazione attiva dei lavoratori nelle decisioni riguardanti:
In sostanza, un progetto di formazione che ponga al centro, insieme alla competenza generale cui ho fatto cenno all’inizio (competenza etico-politica) e quella più “tecnica“ (competenza pedagogico-didattica, declinata secondo l’età e le condizioni dei soggetti che apprendono), due fattori essenziali: il lavoro (i suoi contenuti più innovativi) e l’organizzazione del lavoro.
Questo progetto per la formazione continua dei docenti (e di tutto il personale della scuola) vede ora le condizioni, con il Pnrr e con il rinnovo contrattuale che può sollecitare indicazioni strategiche importanti al di là degli esiti più immediatamente raggiungibili, di una sua praticabilità. Decisivo sarà il ruolo che lo Stato intende svolgere di fronte agli impegni assunti in sede europea; decisivo il ruolo del Ministero che deve dire con chiarezza se e in quali modalità, con quali e quante risorse, intende essere coprotagonista di un progetto così ambizioso di formazione continua nella scuola. Il sindacato deve essere protagonista di questo progetto rivendicando e rappresentando la partecipazione dei lavoratori in tutte le fasi della progettazione e della attuazione progressiva di questa nuova impresa e, in primo luogo, deve farsi promotore di una campagna di sensibilizzazione tra i lavoratori per far crescere consapevolezza e determinazione.
Abbiamo alle spalle, anche come Associazione Proteo, nuove esperienze di formazione, realizzate proprio in questi mesi così difficili della pandemia. Fatemi citare, perché lo ritengo fortemente innovativo sul piano del metodo e del percorso, il terzo corso di accoglienza e accompagnamento alla professione di Dsga, curato da un team di compagne/i di grande valore e dalla esperienza e competenza carica di passione di Gino Annolfi, al quale va il mio personale ringraziamento. Il riscontro di grande positività, ne sono certo, ci consentirà non solo di realizzare un quarto corso ma anche di mettere in campo una attività di formazione per tutti i Dsga iscritti alla Flc. Sono il metodo e il processo che invito a rileggere con attenzione attraverso i materiali pubblicati da Proteo che rendono questa esperienza di grande interesse. I lavoratori sono coinvolti fin dalla fase iniziale nella progettazione del percorso; la formazione procede non solo come arricchimento di conoscenze ma come riflessività sul lavoro svolto, sulle esperienze concrete, insieme al team di formatori e al gruppo in formazione; la collaborazione professionale cresce e produce nuove conoscenze e competenze, nuove domande.
La partecipazione motiva la formazione e ne costituisce un valore aggiunto.
Proteo dunque è pronto a fare la sua parte, a partire dalle iniziative che da settembre animeranno la Conferenza nazionale di programma. Il tema della formazione e della professionalità saranno analizzati e dibattuti con la passione che ci contraddistingue e il confronto tra noi, assicurerà, ne sono certo, un contributo rilevante alla comune elaborazione su questi temi. Quanto più la professionalità troverà percorsi e sviluppi in una nuova organizzazione del lavoro, tanto più si creeranno le condizioni per introdurre con la contrattazione nuove forme anche di valorizzazione salariale, andando oltre le pur preziose esperienze tentate in passato in un contesto in cui l’elaborazione e l’iniziativa sul versante della professionalità dei lavoratori della scuola era ancora in una fase iniziale di ricerca.
12 luglio 2021