Malgrado tutti i tentativi di sminuirlo, confinarlo nell’archeologia sindacale, dipingerlo come un tradimento ai sostenitori del dialogo, persino presentato come controproducente, lo sciopero indetto da Cgil e Uil è pienamente riuscito.
C’è da auspicare che i sostenitori del dialogo capiscano ora che il sindacato non va solo informato ma coinvolto come soggetto sociale che svolge un ruolo politico e pertanto è portatore di proprie rivendicazioni e visioni della società. Che una manovra fiscale in cui i redditi più bassi restano fermi e quelli che sono a 75.000 euro sono considerati ceti medi da non disturbare (ma dove vivono certi commentatori?) è visibilmente una manovra che si arrende di fronte alle distorsioni attuali; che il lavoro non può essere la condanna a vita di rapporti precari, insicuri, sottopagati. Che c’è una dignità della persona che lavora che non si può cancellare con una mail o messaggio telefonico. Che il caro vita corre mentre i salari sono rimasti al palo più che in ogni altro paese d’Europa. Che istruzione e formazione non sono argomenti da retorica a buon mercato ma scelte prioritarie per dare un futuro alle nuove generazioni e al lavoro che cambia.
Nella riuscita dello sciopero generale c’è tutto questo insieme alla esplicita volontà di misurarsi subito con il governo e le sue politiche. C’è dunque concretezza e forza di idee e proposte. Una realtà distante da coloro che pensano che il conflitto sia una minaccia e non una risorsa della democrazia e distante anche da quanti, dall’alto del loro magistero, elogiano lo sciopero a prescindere, come catartica rinascita della sinistra o forse di se stessi.
Ma in questo sciopero generale c’è molto di più. In questi anni di pandemia, la società è stata duramente colpita, divisa, frammentata da un fenomeno non solo sanitario ed economico. La politica non vuole riflettere sulle profonde ferite sociali, civili, relazionali, che la pandemia ha determinato. Tutti concordano: le diseguaglianze sono aumentate e le diseguaglianze non sono solo salari e numeri ma sofferenza, ansia, paura del futuro, difficoltà a riprendere relazioni e impegni, persino a scommettere sulla nascita di un figlio. Sono crisi di persone, di famiglie, di comunità. In una parola c’è una sofferenza che la politica non legge e non interpreta. Non so se come Cgil siamo riusciti con efficacia a raccontare e rappresentare per intero questa sofferenza. Ma è certo grazie alla Cgil che oggi questa sofferenza è emersa nelle piazze piene e interroga il sindacato, il governo, la politica. Interroga anche quella scuola che non pensa solo a compiti e interrogazioni e cerca ogni giorno, a partire dai giovani, di ricostruire i valori di prossimità, di comunità, di relazione fatta di emozioni e sentimenti, di collaborazione tra i lavoratori e bisogno di costruire ponti con il territorio circostante.
Una scuola che insomma cerca di “uscirne insieme” perché l’antidoto, insieme al vaccino medico, richiede una buona dose di cura e formazione per guarire nel profondo.
Tutto questo ci racconta lo sciopero generale della Cgil e noi, che in questa confederazione ci riconosciamo, gliene siamo grati.
Dario Missaglia
17 dicembre 2021