In Italia oltre 1,2 milioni di bambini vivono in condizioni di povertà assoluta, triplicando un dato che nel corso degli ultimi 10 anni è passato dal 3,7% del 2008 al 12.5% del 2018, e che ha visto un peggioramento negli anni più duri della crisi economica, tra il 2011 e il 2014, quando il tasso è passato dal 5% al 10%. In termini netti i numeri sono ancora più allarmanti: nel 2008 i minori in questa condizione erano circa 375mila, nel 2014 già sfioravano 1.200.000. Oggi sono 1,26 milioni (563mila nel Mezzogiorno, 508mila a Nord e 192mila al Centro).
Sono i dati emersi dalla X edizione dell’Atlante dell’infanzia a rischio. Il tempo dei bambini, curato da Giulio Cederna per Save The Children e presentato in contemporanea in dieci città italiane in occasione del lancio della campagna Illuminiamo il futuro per il contrasto alla povertà educativa.
La fotografia che emerge è quella di un paese che continua a non avere un Piano strategico per l’infanzia e l’adolescenza, investe risorse insufficienti in spesa sociale, con divari enormi tra le Regioni nell'accesso ai servizi per i bambini e le loro famiglie. Ad esempio, a fronte di una spesa sociale media annua per l'area famiglia e minori di 172 euro pro capite da parte dei Comuni, la Calabria si attesta sui 26 euro mentre l'Emilia Romagna arriva a 316.
Un paese che negli ultimi dieci anni ha perso di vista il suo patrimonio più importante: i bambini. Un paese “vietato ai minori”.
Difficili condizioni abitative, (in Italia circa due milioni di appartamenti rimangono sfitti, ma tra il 2011 e il 2014 il 14% dei minori ha patito condizioni di grave disagio), la mancanza di un’alimentazione sana in cui consumare regolarmente pasti proteici - sono circa 500.000 i bambini e i ragazzi sotto i 15 anni (il 6% della popolazione di riferimento) che crescono in famiglie dove non si consumano regolarmente pasti proteici e 280.000 sono costretti a un’alimentazione povera sia di proteine che di verdure - la difficoltà di reperire risorse alimentari (nel 2018, 453.000 bambini di età inferiore ai 15 anni hanno beneficiato di pacchi alimentari), l’impossibilità di praticare sport (in Italia circa un minore su 5, tra i 6 e i 17 anni, non pratica sport e il 15% svolge solo qualche attività fisica), sono il frutto di una povertà economica, diventata ormai vera e propria emergenza.
Alla povertà economica si intreccia irrimediabilmente la povertà educativa: investimenti in istruzione insufficienti, edifici poco sicuri e tassi di abbandono scolastico altissimi.
In termini di investimenti secondo i dati Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, l’Italia spende per l'istruzione e l'università circa il 3,6% del Pil, quasi un punto e mezzo in meno rispetto alla media degli altri Paesi, pari al 5%. Con la riforma del 2008 il sistema della conoscenza ha perso ben 8 miliardi di euro in 3 anni, e mentre il resto d’Europa rispondeva alla crisi investendo nel settore dell’istruzione e ricerca, nel nostro Paese la stessa spesa crollava dal 4,6% del PIL del 2009 al 4,1% del 2011 fino al minimo storico del 3,6% del 2016 (ultimo dato Ocse disponibile).
La mancanza di investimenti sulla scuola si riflette anche sulla condizione delle strutture scolastiche: su un totale di 40.151 edifici censiti dall’anagrafe dell’edilizia scolastica, ben 7.000 sono classificati come “vetusti”, circa 22.000 sono stati costruiti prima degli anni Settanta e delle norme che hanno introdotto l’obbligo di collaudo statico (sono 15.550 quelle che ne sono prive) e un numero ancora maggiore prima del 1974, anno di entrata in vigore delle norme antisismiche. Sono 21.662 gli istituiti che non hanno un certificato di agibilità e 24.000 quelli senza certificato di prevenzione per gli incendi. Nelle aree ad alta e medio-alta pericolosità sismica 13.714 gli edifici scolastici non sono stati progettati per resistere a un terremoto. In pratica è antisismica solo una scuola su cinque.
Altro dato allarmante che l’Atlante evidenzia è quello sulla dispersione scolastica (i cosiddetti Early school leavers), su cui l’Italia resta ancora lontana dalla soglia del 10% prevista dagli obiettivi del Piano strategico “Europe 2020”. Nonostante i significativi passi avanti fatti negli ultimi dieci anni (-5,1% dal 2008), dal 2017 l’abbandono scolastico ha visto di nuovo un leggero aumento, attestandosi attualmente a un 14,5%. Quello della dispersione scolastica è soprattutto un dato che evidenzia maggiormente il divario Nord/Sud, con regioni che hanno già centrato l’obiettivo europeo (Trento, Umbria, Abruzzo e Friuli Venezia Giulia) e regioni dove il tasso di dispersione supera il tetto del 20% (Calabria, Sicilia e Sardegna).
Non meno allarmanti sono i dati che riguardano i minori che continuano a frequentare le scuole, ma restano “disconnessi” da qualsiasi altra forma di esperienza culturale. A dare l’allarme è il dato sulla pratica della lettura. Quasi un minore su due non legge un libro oltre quelli imposti dal sistema scolastico durante l’anno, con percentuali alle stelle in regioni come Campania (64,1%), Calabria (65,9%) e Sicilia (68,7%). Se i minori che non svolgono sufficienti attività culturali restano ancora 7 su 10, con i consueti divari tra le regioni, sono invece in aumento gli iperconnessi: nell’ultimo decennio si è assistito a una rivoluzione che ha portato all’aumento esponenziale dei minori che usano ogni giorno la Rete. Nel 2008 il 23,3% dei minori non usava quotidianamente Internet, quota che è scesa nel 2018 a solo il 5,3%.
Un’altra delle conseguenze della povertà e della crisi economica è l’aumento della detanalità. Se per alcuni è impossibile fare figli, (nel 2008, in Italia i minori rappresentavano il 17,1% della popolazione residente, mentre nel 2018 sono ridotti al 16,2%), altri decidono di diventare genitori in età più avanzata rispetto al passato e solo una volta raggiunta un’autonomia economica.
Una prima conseguenza si è avuta nel calo delle iscrizioni a scuola nel primo anno delle primarie: per l’a.s. 2019/2020 le domande presentate sono state poco più di 473.000, con una perdita di circa 23.000 bambini rispetto all’anno precedente (-4,6%), mentre il ciclo di scuola secondaria ha registrato una flessione di altri 20.000 studenti.
Aumenta invece il numero di bambini e ragazzi di origine straniera presenti nel nostro Paese: nel 2008 erano poco più di 700.000 e a dieci anni di distanza sono oltre un milione. E non si può non ricordare che oggi più di un residente minorenne su 10 in Italia ha la cittadinanza straniera. A loro, infatti, una legge arretrata e tra le più restrittive in Europa, continua a riconoscere la cittadinanza e il pieno riconoscimento dei diritti civili solo al compimento del diciottesimo anno di età, rendendoli di conseguenza minori e cittadini di serie B.
Forse è anche per tutto questo che i giovani chiedono al mondo degli adulti a voce sempre più alta di destinare loro risorse, tempo, spazi e di restituirgli il proprio futuro. Ed è proprio questo che la campagna Illuminiamo il futuro cerca di fare. Firmando la petizione online illuminiamoilfuturo si chiede il recupero di 16 spazi pubblici oggi abbandonati da destinare ad attività extrascolastiche gratuite per i bambini. La mobilitazione è accompagnata sui social dall'hashtag #italiavietatAiminori.