di Massimo Baldacci, presidente nazionale Proteo Fare Sapere
Il Governo Meloni sta procedendo a tambur battente nel tentativo di attuare una trasformazione ideologica della scuola. Le coordinate di questa trasformazione sono almeno tre, coerenti con i dogmi di una destra che all’ispirazione neoliberista aggiunge lo spirito di un populismo nazionalista (e nostalgico). In sintesi: l’economicismo, l’autoritarismo e il nazionalismo.
La prima coordinata (rispetto alla quale l’attuale Governo prosegue un indirizzo iniziato da anni) è quella di rendere la scuola subalterna al mondo economico e alle sue logiche (rinvio a Baldacci, La scuola al bivio. Mercato o democrazia?, 2019; scusandomi per l’autocitazione). A questo scopo, l’istruzione viene piegata alla formazione di produttori docili e competenti, direttamente impiegabili dalle imprese (“chiavi in mano”, si potrebbe dire). E in aggiunta si coltiva un’impostazione meritocratica, volta a socializzare precocemente i giovani alle logiche competitive del mercato del lavoro.
La seconda coordinata è quella del ritorno a una pedagogia autoritaria (a lungo predominante nel nostro Paese; cfr. Borghi, Educazione e autorità nell’Italia moderna, 2021), diffusamente punitiva, che tende a mutare la responsabilità (alla quale i giovani devono essere certamene educati) in mera sottomissione, nella docilità verso il potere. Una pedagogia che va oltre la scuola per estendersi all’intera vita sociale, e che inclina a trasformare i cittadini in sudditi, proni alle decisioni di chi governa.
La terza coordinata è quella nazionalista, che alla dialettica tra appartenenza comunitaria e tensione cosmopolita e universalista, sostituisce un’ossessione identitaria centrata sulla nazione (cfr. Remotti, L’ossessione identitaria, 2017). In questo modo, si contribuisce a seminare la paura e l’ostilità verso l’altro, il diverso, l’immigrato. Sentimenti che la propaganda di destra tiene già ben vivi, agitando gli spettri dell’invasione, della catastrofe identitaria, fino addirittura della sostituzione etnica.
In rapporto agli indirizzi ideologici, la prima coordinata è di matrice neoliberista, le altre due sono di marca populista. La loro connessione non è casuale. Dalla crisi economica del 2008, l’egemonia neoliberista è diventata pericolante, e ha cercato perciò il puntello delle destre populiste (vedi Harvey, Cronache anticapitaliste, 2021). Da ciò deriva questa miscela ideologicamente eterogenea.
Rispetto ai partiti della maggioranza, invece, grosso modo la prima coordinata è espressione soprattutto della Lega e di Forza Italia, la seconda prevalentemente di Fratelli d’Italia, la terza è una risultante tra il nazionalismo di Fratelli d’Italia e l’ostilità verso i migranti della Lega. La loro connessione non è priva di contraddizioni (per esempio, tra la necessità della mano d’opera fornita dagli immigrati, e la disseminazione di sentimenti d’ostilità nei loro confronti).
Credo che molte misure scolastiche prese dal Governo si possano inquadrare entro queste coordinate. Per esempio, vari indizi lasciano presumere che probabilmente le nuove Indicazioni curricolari (a cui sta lavorando la commissione coordinata dalla prof.ssa Perla, autrice insieme a Galli della Loggia del volume Insegnare l’Italia, 2023) si collocheranno nello spazio definito dalle coordinate dell’economicismo e del nazionalismo identitario. Avremo un curricolo volto a formare produttori sciovinisti? (Qualcosa di analogo al pasticciere troskista immaginato da Nanni Moretti in Caro diario). Su questo, Proteo ha partecipato all’iniziativa della Flc Cgil dello scorso 3 luglio, e prossimamente organizzerà un proprio seminario di riflessione culturale e pedagogica.
In una certa misura, anche le Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica (in attuazione della Legge 20 agosto 2019, n. 92), recentemente emanate, restano entro questo spazio. Con un’aggravante: il riferimento cardinale dell’educazione civica, la Costituzione, viene disciolto in un brodo di indicazioni eterogenee e scarsamente pertinenti, perdendo il suo ruolo di orientamento principale. Nel testo sono inseriti con noncuranza elementi ideologicamente inclinati verso l’identitarismo nazionale (quali: il “valore dell’appartenenza alla comunità nazionale che è comunemente definita Patria”, la “coscienza di una comune identità italiana”) e l’economicismo (quali: l’ “educazione finanziaria”, lo “Spirito di iniziativa e di imprenditorialità”, la “valorizzazione della iniziativa economica privata”), mischiati con altri poco o per nulla pertinenti (quali: l’ “educazione stradale”, l’“educazione alimentare”, la “pianificazione previdenziale” e molto altro). L’esegesi delle ascendenze genealogiche di questi frammenti sarebbe lunga e laboriosa. Qui mi limito a evidenziare che l’educazione civica è ridotta a una zuppa di tutto un po’, a un conglomerato di frammenti eterogenei, senza trovare un proprio baricentro culturale e pedagogico, privando del dovuto riconoscimento quello che dovrebbe essere tale: la Carta costituzionale. Quest’ultima – per altro come da legge 92/2019 – è ridotta a un nucleo su tre, tra lo “Sviluppo economico e sostenibilità” e la “cittadinanza digitale”.
L’eterogeneità culturale si riflette, inoltre, in una elefantiasi curricolare: il documento elenca ben dodici traguardi di sviluppo per le competenze per il primo ciclo e altrettante competenze (complesse) per il secondo ciclo, e addirittura un centinaio di obiettivi di apprendimento per ciclo (attenzione, ogni verbo performativo – analizzare, comprendere, individuare ecc. – identifica un obiettivo al di là dell’impaginazione del documento). L’individuazione di scopi formativi è indubbiamente preziosa per non cadere in impostazioni vaghe e generiche. Ma molto difficilmente un elenco iper-complicato può fornire un orientamento migliore rispetto a un profilo essenziale e più chiaro. Leggendo l’elencazione degli obiettivi si sperimenta una sorta di “vertigine della lista”, per citare Umberto Eco (La vertigine della lista, 2016), ma nel senso del capogiro. In una mappa iper-complicata si rischia di non raccapezzarsi, e si può finire per sbagliare strada o addirittura per smarrirsi. Nell’individuare gli scopi dell’educazione civica si dovrebbe piuttosto seguire il principio del Rasoio di Occam, realizzando un profilo sobrio, chiaro ed essenziale, capace di fornire una guida perspicua al docente. L’attuale formulazione finisce invece per disorientare.
La questione rischia poi di scivolare nel surreale quando si apprende che sono previste “almeno” 33 ore annue di fronte a un centinaio di obiettivi di apprendimento! Evidentemente l’estensore non si è ricordato del noto principio del “tempo necessario per l’apprendimento” formulato a suo tempo da Carroll (in Block (Ed,), Mastery learning, 1971) (in pratica: imparare richiede tempo). L’attuale impianto curricolare è del tutto irrealistico rispetto alle risorse temporali previste.
Si dovrebbero compiere molte altre considerazioni, per un esame analitico del documento. Mi limito a concludere che le Linee guida appaiono eterogenee e frammentarie sul piano culturale, ed elefantiache e irrealistiche su quello curricolare.
La critica dovrebbe essere il primo passo per indicare soluzioni diverse. Ma a questo dedicherò un futuro intervento (così come ci occuperemo presto dello Ius scholae). Concludendo, non mi voglio però sottrarre dal formulare un’ipotesi di lavoro. Poiché, perseguire 100 obiettivi in 33 ore è irragionevole (cercare di realizzare tutti questi obiettivi significherebbe non raggiungerne alcuno), suggerirei di privilegiare la competenza 1 del nucleo inerente alla Costituzione (il nucleo fondante dell’educazione civica), attingendo cum grano salis ai relativi obiettivi. Ma come avremo modo di vedere, l’educazione civica di una Scuola della Costituzione esige ben altro.