Per un attimo abbiamo sperato che dal Ministero partisse un invito, un appello a tutti (sindacati, associazioni professionali, volontariato, sindaci, ecc.) per iniziare a immaginare, con concretezza, quale potrebbe essere la scuola del prossimo settembre. Delusione. Certo il Ministero può dire che i ragazzi dovranno comunque sanare i debiti; abbiamo capito che il Ministro ha l’incubo del 6 politico. In realtà, il Ministero per primo avrebbe dovuto avvertire il peso del debito che, per cause di forza maggiore, la scuola ha accumulato verso studenti e famiglie. Ci saremmo attesi un sussulto di responsabilità. Ci saremmo anche attesi che in uno dei tanti messaggi ufficiali, trovasse almeno una menzione la delicatissima condizione dell’infanzia in questa fase di distanza imposta.
Settembre è dietro l’angolo e sappiamo tutti che, anche augurandoci lo scenario migliore, dovremo continuare a fare i conti con la pandemia, insomma con il distanziamento sociale. La Ministra si è affrettata a dire (ma attendiamo di leggere una nota ufficiale) che la DaD “diventerà obbligatoria”, come dire, ogni problema è risolto. E no. Che la DaD sia stata una risorsa utile in una fase imprevedibile di emergenza, va bene; che anche in prospettiva, affrontando tutti i problemi di fondo troppo elegantemente elusi (la carenza di mezzi in troppe famiglie e istituti scolastici, ma anche e soprattutto la carenza di formazione sull’uso dei mezzi da parte di tanti genitori) i docenti possano definire percorsi didattici in cui utilizzare anche la DaD per integrare e arricchire la didattica in presenza, è possibile e auspicabile. Ma nessuno può immaginare che a settembre non si possa tornare in qualche modo a scuola. Sarà, ci auguriamo, solo per qualche mese una scuola “speciale” ma non potrà essere soltanto uno schermo acceso. È questo il messaggio che abbiamo colto dalle migliaia di docenti che in questo mese, senza attendere le indicazioni del Ministero, hanno sperimentato forme nuove di relazione, di contatto, di dialogo, pur di ridurre la distanza. È cresciuto il desiderio di tornare a scuola. Impensabile agire diversamente.
Non lo sopporterebbero per primi i piccoli e meno piccoli, provati da questa lunga privazione di libero movimento, privazione delle relazioni, degli affetti più larghi, delle amicizie. Non lo sopporterebbero neppure i genitori, impegnati in una defatigante azione di cura e contenimento oltre ogni limite e prigionieri loro stessi del distanziamento sociale. È dunque necessario progettare il rientro a scuola, nelle scuole, da quelle dei piccoli alle superiori. E per i più piccoli, almeno per loro, sarebbe importante iniziare già nei mesi estivi. L’accompagnamento alla normalità, non può attendere oltre. Dobbiamo essere consapevoli che sono i figli delle famiglie più povere, con maggiore disagio sociale ed economico, a pagare il prezzo più alto. L’isolamento sociale mette in sofferenza tutta l’infanzia e accentua gravemente la diseguaglianza dei più deboli: per questo l’isolamento va interrotto, al più presto possibile.
Io credo che non dovremmo pensare solo alle scuole come luoghi; il cantiere da aprire è più largo e deve abbracciare il territorio e tutte le risorse del territorio, organizzate e solidali per ridare vita ai luoghi della vicinanza. I cantieri, ha detto Renzo Piano, “sono luoghi di speranza e di pace perché si costruisce quando non c’è più la guerra”; costruire, secondo la sua visione, non è aggiungere, ma “rammendare”, ricostruire i fili della cittadinanza, della vicinanza, del civismo possibile.
Riprendersi il territorio. Avremo bisogno dei docenti certo ma anche dei genitori desiderosi di uscire dalla gabbia e ridiventare cittadini; avremo bisogno degli spazi possibili, non solo le scuole, ma anche tutto ciò che il territorio offre come spazio aperto e pubblico (o privato che si offre al pubblico, anche i negozi che apriranno); avremo bisogno dei nonni/e, del volontariato, del ruolo attivo delle Camere del Lavoro, dell’impegno del terzo settore, dei più grandi che aiutino i più piccoli. Tutti ad affiancare i docenti che dovranno tenere le fila di una esperienza nuova. Una “scuola” che funzioni dal mattino al pomeriggio per piccoli gruppi, in orari differenziati. Con una pluralità di attività di diverso tipo, ma anche con la lucidità di ritessere i fili di percorsi di apprendimento e di recupero di quanto, almeno in parte, non è stato possibile fare in questo anno che volge alla fine.
Una scuola per la fase due che verrà, in attesa di riprenderci pienamente gli spazi, i tempi e la quotidianità delle nostre scuole. Una impresa collettiva forse più agevole con gli studenti delle scuole secondarie superiori, in grado di gestire spazi di autonomia e collaborare con i docenti, ma assolutamente necessaria anche per i più piccoli, lì dove le maestre stupiranno per le capacità che hanno sperimentato nel tempo di inventare occasioni di apprendimento in contesti diversi e mutevoli.
Sono convinto che quando questo accadrà, anche quella scuola che ritroverà certezze antiche, routine tranquillizzanti, i rumori e le consuetudini di sempre, non sarà più la stessa. Perché tutti insieme avremo appreso cose nuove.
Con questo spirito Proteo rivolge un invito a docenti, dirigenti, cittadini, e a tutte le risorse vive dei territori, per iniziare a costruire insieme questo cantiere della scuola di cui abbiamo bisogno. Abbiamo visto in questa fase, intorno alla scuola “sospesa”, entusiasmi e partecipazione, prove ed errori ma molto desiderio e slancio di non lasciarsi vincere da questa emergenza. C’è rinnovata energia.
È tempo di nuove idee e proposte da sperimentare.
Dario Missaglia
Presidente nazionale Proteo