Scuola e Università in Italia. Il contesto: che cosa è cambiato, che cosa sta cambiando
Ai tempi della nascita di Proteo il contesto era molto diverso. Si era dentro un processo di relativa e progressiva stabilizzazione dei fenomeni che avevano caratterizzato gli anni settanta. Il sindacato scuola della CGIL, pur senza abbandonare la sua ispirazione politica (contratto e riforma), da un lato si dedicava ad una attività di tutela e consulenza per i lavoratori, dall’altro, curava un affinamento professionale basato sulle intuizioni didattiche e metodologiche che avevano accompagnato la crescita del movimento sindacale.
Proteo nasceva nell'ambito di questa attenzione alla professionalità docente in un quadro che oggi ci potrebbe apparire persino tranquillo, se non fosse stato attraversato proprio nella scuola da fenomeni turbolenti e scissionistici. Erano venti che “soffiando nella torre annunciavano nuove tempeste”. E le tempeste non tardarono ad arrivare a livello mondiale ed anche locale, talvolta travolgendo repentinamente, talvolta scavando gradualmente il terreno sotto le fondamenta, anche per noi che avevamo già per tempo capito che non si trattava più di trasmettere conoscenze, ma di insegnare piuttosto a decodificarle nel rumore di fondo della comunicazione globale.
Gli stessi postulati che noi avevamo ipotizzato si realizzavano, ma non nel modo che avevamo immaginato: alla contraddizione est-ovest si sostituiva quella nord-sud, e al posto di un atteso nuovo ordine economico mondiale emergeva sempre più qualcosa che assomigliava piuttosto al disordine globale.
Il rischio più grande diventava quello della perdita del senso delle cose e del senso della scuola, dell’istruzione, del suo rapporto col lavoro e con la vita stessa. Venivano meno non solo i riferimenti ideologici, ma con essi i riferimenti sistemici. Oggi siamo tutti un po’ vittime di questa destrutturazione, che produce logiche empiriche e pragmatiche in quel che facciamo, in quel che proponiamo, nelle relazioni stesse che costruiamo: dalle relazioni con gli alunni a quelle con l’istituzione, dalla relazione con i colleghi a quella con i dirigenti o con lo stesso Ministero. Non a caso, proprio a 50 anni dalla morte di Don Milani, il suo “come essere” si è stemperato in un “come fare”, facendo prevalere l’idea che tutto sia riconducibile ad una questione di tecniche ripetibili, imitabili, emulabili.
Come non cadere, dunque, in questa trappola senza peraltro cascare in quella opposta dell’ideologismo? Questa crediamo sia la sfida dell'oggi, nel momento in cui dobbiamo affrontare numerosi fenomeni, dall’immigrazione alla fuga dei cervelli, dall’irrompere di nuovi analfabetismi al vecchio analfabetismo di ritorno, dal blocco dell’ascensore sociale al rapporto tra la scuola e un lavoro che spesso non c’è, cercando di contrastare il diffondersi di uno "spirito di reazione", che facendosi scudo di una pretesa "meritocrazia" giunge fino a proporre, ad esempio, la reintroduzione della bocciatura nella scuola primaria.
L'Associazione si è consolidata come struttura di livello nazionale, ramificata (forse come nessun'altra associazione), con una sua storia ormai trentennale, ricca di esperienze professionali e organizzative, animate da una comune idea di scuola, con un sindacato di riferimento – la FLC – che offre un ampio bacino di potenziali adesioni. La FLC è, con la sua storia e la sua elaborazione politico-sindacale, un fondamentale punto di riferimento; lo è anche sul piano organizzativo, territoriale e nazionale, nonché su quello editoriale grazie alla sua Casa editrice.
Le diverse incursioni normative sulla scuola (da ultimo la legge 107/15 con la formazione obbligatoria), impongono una riflessione sul ruolo stesso dell'associazionismo professionale e sulla sua capacità di rappresentare una risorsa per i professionisti della scuola. Per questo occorre essere in grado di capire le trasformazioni in atto sia sul piano della ricerca pedagogica, didattica, metodologica, sia su quello antropologico delle nuove generazioni.
In un contesto nel quale si parla di crisi delle professionalità nella scuola, si assiste talora ad un deficit di soggettività e di protagonismo dei docenti, che, spesso, non si vivono come professionisti, ripiegando sul lavoro di routine; analoghe considerazioni valgono per i dirigenti scolastici, oberati da incombenze amministrative che li portano a smarrire la loro funzione di leader educativi; fenomeni simili riguardano il personale ATA, indotto spesso a sentirsi estraneo a quella scuola che per noi resta una "comunità educante". Da queste criticità occorre ripartire per una proposta programmatica efficace.