Si avvia a conclusione un anno scolastico segnato dalla pandemia che ha colpito anche il nostro Paese, con il suo carico di lutti e sofferenze. Un evento che ha sconvolto la vita sociale, economica e la quotidianità di milioni di persone. Anche la sospensione senza precedenti dell’attività didattica ha determinato processi e dinamiche che sono giustamente oggetto di riflessione e ricerca. Intanto l’anno scolastico volge al termine: la fase delle valutazioni di fine anno si apre nelle scuole mentre dal Ministero, al di là delle necessarie modifiche agli esami di fine ciclo, non si coglie una riflessione all’altezza della situazione, sulla più ampia tematica della valutazione.
Per queste ragioni l’Ufficio di presidenza nazionale di Proteo ritiene utile ritornare su questo tema con alcune considerazioni e proposte per delineare delle linee di condotta che aiutino la scuola nel suo difficile compito di “assicurare il successo formativo di tutti gli alunni”.
Se la scuola è vista come un luogo dove si offrano le stesse possibilità a tutte/i indipendentemente dai contesti di appartenenza e dalle situazioni di partenza limitandosi a registrare i risultati parziali e finali del percorso, la valutazione potrà limitarsi a registrare il grado di successo o insuccesso dei singoli, preferibilmente su scale semplici, immediatamente comprensibili e onnicomprensive come, ad esempio, i voti numerici. L’attenzione è posta tutta sui risultati, sulla necessità di selezionare chi ha raggiunto gli obiettivi previsti da coloro che non ci siano riusciti e ai quali si propone, eventualmente, di provarci di nuovo rifacendo lo stesso percorso. I dati sulla dispersione scolastica sono un significativo indicatore di quanto tutto ciò sia ancora un modo di pensare, presente di fatto nella scuola.
Ma non è questa la scuola che ci propone la Costituzione e la normativa vigente. L’art. 3 della Costituzione, le norme sull‘autonomia scolastica richiamate anche dalla L. 107/2015, impongono alla scuola la ricerca del “successo formativo” di ogni alunna/o. Significa allora tener conto delle situazioni di partenza e dei contesti di riferimento, evitare di fare “parti uguali fra disuguali”, costruire percorsi didattici personalizzati capaci di sviluppare le diverse potenzialità di ciascuna/o e insieme fornire gli strumenti per superare le eventuali carenze e difficoltà. Per costruire questi percorsi di apprendimento diviene indispensabile una valutazione che ponga attenzione non solo agli esiti, ma soprattutto ai processi di apprendimento e di sviluppo delle attività, in quanto si ha necessità di conoscere cosa realmente accade e di avere indicazioni su come modificare, migliorare e rendere efficace la propria azione. Ciò non significa trascurare i momenti intermedi e finali della valutazione, ma costruirli come tappe di un percorso molto più lungo e complesso.
Sottolineare l’importanza della funzione formativa della valutazione vuol dire considerare la valutazione come “strumento per l’apprendimento” e non solo come “strumento per l’insegnamento”, significa avere chiari i passi da seguire per accompagnare e supportare i processi di costruzione di conoscenze e competenze degli alunni, pensando alla centralità dei bisogni di bambini e ragazzi, rifuggendo una logica dettata dall’egemonia dell’abilismo secondo la quale tutti devono sapere e saper fare le stesse cose nello stesso momento. La scuola delle competenze, che frequentemente viene richiamata nei documenti ministeriali, per realizzarsi in maniera compiuta ha bisogno di tempi lunghi, di modalità di lavoro distese e di forme autentiche di valutazione che vadano oltre la sterile acquisizione di nozioni disciplinari e lo svolgimento di “montagne di esercizi” a cui un certo modo di intendere la formazione a distanza può portare. Per questi motivi è opportuno richiamare brevemente alcuni termini del problema.
Le principali teorie pedagogiche relative alla formazione scolastica hanno da tempo evidenziato l’inscindibile legame fra valutazione e apprendimento: la valutazione deve accompagnare l’intero processo formativo dell’alunno/a e tutti i percorsi didattici promossi dalla scuola. In tal senso si riconosce alla valutazione non solo una funzione sommativa, ma anche diagnostica e formativa sull’andamento degli apprendimenti e sull’efficacia dell’insegnamento. Un corretto utilizzo degli strumenti valutativi permette non solo di ri-orientare l’azione del/la docente, ma anche di sviluppare le capacità di autovalutazione e co-valutazione delle/gli alunne/i e contribuire a un’importante funzione quale quella dell’orientamento. Inoltre l’introduzione del concetto di “competenza” oltre a rappresentare, se ben declinato, un’opportunità per il rinnovamento della didattica, invita a nuovi approcci teorici e metodologici anche nella valutazione. Il modello della “valutazione autentica” recentemente elaborato si pone l’obiettivo di indagare sui processi che generano l’apprendimento e su come le conoscenze acquisite si possano trasformare in comportamenti efficaci e competenze personali.
Una valutazione così intesa permette di indagare a fondo sui processi individuali messi in atto e di intervenire per potenziare, correggere, sostenere gli apprendimenti di ciascuno/a. Questo diventa possibile rispetto alla valutazione delle competenze perché queste ultime quasi mai si prestano a una lettura dicotomica, del tipo presente/assente, sì/no, in tutto/per niente, ma si manifestano in maniera più sfumata, graduale, fluida ed è proprio a partire da questo continuum legato alla maturazione di comportamenti efficaci, funzionali ma anche personali, che così bene descrive l’agire competente, che la valutazione diventa lo strumento principale per indagare, al di là dei prodotti finali, quali sono i processi che ogni alunno/a mette in atto quando apprende.
Prassi didattica e prassi valutative si intrecciano quindi spesso inestricabilmente: le modalità di realizzazione dell’una rinviano alle modalità scelte per l’altra. Per questi motivi per realizzare una scuola davvero inclusiva occorre sostenere e indirizzare la scuola a sviluppare una valutazione formativa con conseguenti scelte metodologiche e didattiche. Scegliere una modalità di valutazione rispetto a un’altra significa anche rendere evidenti quali siano fra le due finalità sopra evidenziate quelle che effettivamente ispirano la nostra azione: una scuola che si limiti a registrare in modo notarile ciò che le/gli alunne/i da sole/i riescono ad apprendere o una scuola che si impegni davvero nel perseguire il “successo formativo” di ognuno. Una buona valutazione nasce dall’incontro di approcci e strumenti diversi, che per un verso pone attenzione alle conoscenze e alla loro rilevazione e che per un altro si interroga su come creare le condizioni affinché detti saperi possano essere applicati, sperimentati, scoperti in contesti reali, autentici, attraverso prove significative in grado di oltrepassare i limiti del nozionismo e dell’assolutismo valutativo. I dati sempre gravi sulla dispersione scolastica ci dovrebbero far comprendere senza alcun dubbio quale sia la finalità da perseguire e come anche a partire dalla valutazione sia possibile combattere questo grosso problema.
Dobbiamo rilevare che questo tema appare spesso in secondo piano quando si parla di formazione in itinere del personale docente. Su tematiche così complesse è invece indispensabile avviare una riflessione approfondita, capace di coniugare insieme la conoscenza sia delle numerose buone pratiche esistenti, sia delle indicazioni che la letteratura scientifica offre. È auspicabile quindi che si mettano in atto iniziative formative su questi temi, percorsi di ricerca-azione e ricerca-formazione capaci di promuovere indicazioni e proposte all’interno dei collegi docenti, dove lo scambio di esperienze e la comune formazione possono porre le basi per la costruzione di pratiche didattiche e forme valutative davvero inclusive.
Nel dm. 62 del 2017 si riconferma per le scuole del primo e secondo ciclo la valutazione periodica e finale espressa con votazione in decimi, riproponendo quanto introdotto nel 2009 dal DPR 122, che dopo 32 anni modificava, nelle scuole del primo ciclo, la valutazione attraverso giudizi articolati introdotta dalla legge n. 517/77. Contemporaneamente nel primo articolo dello stesso decreto si illustrano le finalità della valutazione in modo ampio ed esauriente, con riferimento a quanto emerso sia dalla ricerca didattica sia dalle migliori esperienze sul campo. Notiamo un’incoerenza fra le finalità indicate nel primo articolo e le modalità di valutazione finale e periodica proposte negli altri articoli. La votazione in decimi infatti necessariamente invita a semplificare e sintetizzare un giudizio su una scala arbitraria (decimale) e senza criteri univoci di riferimento nell’individuarne i valori rispetto all’oggetto della valutazione. Soprattutto tace su quali siano effettivamente i punti di forza e i punti di debolezza evidenziati dall’alunno nel suo percorso di apprendimento. Il voto di fatto mette l’accento sul risultato finale e lascia in ombra l’indagine sul processo, enfatizza la valutazione sommativa a scapito di quella formativa. Concentrarsi sulla classificazione delle/degli alunne/i con dei voti può distogliere l’attenzione dall’evidenziare i progressi individuali e in molti casi rischia di oscurare i reali processi di apprendimento, favorendo invece una comparazione/competizione fra pari che può rivelarsi nociva al clima di positiva cooperazione all’interno delle classi. Anche in un’ottica di sviluppo delle competenze degli alunni e della loro certificazione, lo strumento del voto in decimi mostra tutta la sua inadeguatezza, non è possibile esplorare e verificare le competenze partendo da valutazioni espresse con un voto: ecco allora che sviluppare forme di valutazione in itinere che utilizzino vari strumenti può costituire un valido aiuto alla formazione di competenze a alla loro certificazione.
In questo momento sembrano convivere nel nostro ordinamento scolastico due diversi modelli valutativi, quello basato sui voti in decimi e quello basato sulla valutazione e certificazione delle competenze. Questa confusione di fondo, che dà conto di quanto si debba lavorare ancora molto per una cultura diffusa della valutazione, rende ancora più difficile abbandonare la strada del nozionismo e della sterile erudizione per orientarsi verso quella più complessa e problematica dell’agire competente.
Per questi motivi riteniamo necessario prevedere l’abolizione della votazione intermedia e finale in decimi nelle scuole del primo ciclo e la sua sostituzione con giudizi sintetici riferiti a un numero limitato di livelli, più idonei rispetto alla scala decimale a descrivere i processi e attestare i risultati di apprendimento complessivamente raggiunti, in rapporto al contesto e all’esperienza di ciascuno. Nel particolare frangente di questo anno scolastico, riteniamo che almeno nella scuola primaria, questo orientamento dovrebbe essere assunto dallo stesso Ministero dell’Istruzione.
Contemporaneamente riteniamo indispensabile avviare anche una riflessione per ipotizzare diverse e più efficaci forme di valutazione nella scuola secondaria di secondo grado.