03 dicembre 2020
Quattro annotazioni sul Protocollo pedagogico di Proteo, di Antonio Giacobbi
- Una prima osservazione riguarda il termine “Protocollo” che può prestarsi a qualche ambiguità, come ben segnala Antonio Valentino in un suo commento. Il testo lo ha ben presente. Protocollo che “indica uno strumento prescrittivo e vincolante” è infatti assunto dal documento come descrizione di “comportamenti prescrittivi in senso deontologico e non disciplinare che esigono la forza dell’etica della responsabilità non quella delle sanzioni”. E aggiunge poi che “non può venire dall’alto, deve nascere e costruirsi nelle scuole e deve vedere protagonisti i docenti”. L’ambiguità viene quindi risolta nel richiamo esplicito al rigore scientifico, alla deontologia professionale, all’etica della responsabilità. Lo specifico professionale del docente si chiama didattica, e una buona didattica la si mette in atto a partire dall’insieme di competenze che vanno ben oltre quelle disciplinari. Sono le competenze richiamate dal contratto nazionale. Ne parla anche il documento approvato dal congresso di PFS del 2019 quando descrive di quale docente ha bisogno oggi la scuola. Sono queste competenze acquisite in anni di studio e di esperienza che consentono di definire l’insegnante un professionista anche se ha un rapporto di lavoro dipendente. E tuttavia, in questo quadro di “rigore professionale”, deve rimanere forte l’elemento della “creatività”, della “fantasia” della “immaginazione”, della “cura”, del “benessere”, della ricerca di un luogo “altro” e non solo fisico per la relazione educativa e l’apprendimento. Perché le ragazze e i ragazzi che abbiamo davanti ci interrogano ogni giorno ed ogni giorno sono vivi, cambiano e non possono essere parte di un “catalogo” da gestire. Ciò mi sembra importante soprattutto in questa fase in cui gli insegnanti sono costretti a fare i conti, tra PIA e PAI, con le difficoltà dell’anno passato, in cui gli studenti sono stati sette mesi senza didattica in presenza fino a settembre, e di questo anno scolastico ancora pieno di incognite. Temo che “curvare” eccessivamente l’attività didattica sul “recupero” di conoscenze e competenze non aiuti né l’apprendimento né la relazione di vicinanza di cui i ragazzi hanno bisogno. Per inciso: non so se le scuole lo hanno fatto, ma credo che proprio per consentire una maggiore vicinanza, sia in didattica a distanza che in presenza, sarebbe più utile, laddove possibile e almeno per i primi anni di corso, spalmare i curricoli su più anni.
- Un secondo termine che mi ha colpito e che condivido è “Riappropriazione” che leggo come la trama principale del testo. In occasione dell’anniversario della pubblicazione di “Lettera a una professoressa” Proteo decise di organizzare un convegno che si fece a Padova, con il MCE. L’idea era quella di riproporre il pensiero e l’attività di alcuni pedagogisti del ‘900 perché lo ritenevamo necessario alla scuola del 2000. Pensammo quindi ad un titolo provocatorio: “Guardare indietro per andare avanti”. Vi rinunciammo poi a favore di un titolo più assertivo: “Pedagogia del '900 per guardare avanti - Da don Lorenzo Milani, Paulo Freire e Célestin Freinet idee per una scuola inclusiva”. Mi si perdoni la citazione, ma è quello che mi è venuto in mente per la forza con cui il Protocollo ripropone “la riappropriazione come riscoperta e valore della professionalità docente” e la necessità di quello che Valentino chiama “sguardo pedagogico”, “cultura pedagogica”. Nel Protocollo di Proteo il concetto si allarga e ricomprende tanta parte di quella cultura che abbiamo conosciuto: dal territorio all’inclusione, dalla relazione educativa all’attivismo didattico alla valutazione formativa. La domanda che ci dobbiamo fare è allora questa: la scuola che gli insegnanti incontrano ogni giorno, così come è venuta concretamente realizzandosi in questi anni, consente questa “riappropriazione”? Perché se è necessaria, e io penso con Proteo che lo sia, allora si deve, sottolineo si deve, ripensare l’Istituzione Scuola. Penso ad esempio a come agire realmente e in quali condizioni una “dimensione cooperativa” della didattica; ai “tempi di riflessione” necessari agli insegnanti in tutte le scuole; ai collegi docenti che devono poter essere più incisivi come “luogo di professionalità” oltre che di democrazia e di partecipazione; a liberare uffici, dirigenti e docenti di pratiche burocratiche, che non sono “la documentazione” utile di cui parla il documento di Proteo. Penso al rapporto con i genitori: la scuola non può essere certo zona franca rispetto alle “norme” e allo stato di diritto, ma è necessario trovare il modo di ridurre il contenzioso, anche giudiziario, per evitare il quale spesso l’attenzione alle norme prevale sulla pedagogia. Non è questa la sede per parlarne. Proteo potrebbe sviluppare riflessioni e proposte, a partire da alcune indicazioni interessanti che si leggono nell’ultimo paragrafo.
- In questo paragrafo infatti, dal titolo “Cambiamenti profondi che guardano al futuro” il documento di Proteo non si sottrae al tema e propone alcuni terreni di lavoro. Certamente sono necessarie risorse importanti, per rendere concreta l’affermazione che tutti sembrano condividere salvo smentire nei fatti: “la scuola è l’istituzione più importante”. Spesso si aggiunge “perché forma i cittadini di domani” dimenticando che alunne e alunni, ragazze e ragazzi, studentesse e studenti che frequentano le nostre scuole, dai nidi alle superiori, sono già cittadini. È bene essere chiari su questo, perché se pensi che sono cittadini fai una scuola, se pensi invece che non lo sono e lo saranno da adulti ne fai un’altra, con altri fini magari non sempre condivisibili e lontani dalla scuola di “liberi dubitanti” di cui parlava Lamberto Borghi. Penso tuttavia da tempo che maggiori risorse da sole non bastano se i docenti e i dirigenti, senza escludere il personale ATA, non si interrogano sull’idea di scuola e sul loro ruolo in anni di profondo cambiamento, oltre la crisi determinata dal Covid. Sul versante che più direttamente coinvolge l’organizzazione del lavoro il Protocollo elenca alcuni “elementi strutturali” del funzionamento che entrano direttamente nelle competenze dell’amministrazione e dei sindacati. Sono competenze che vanno rispettate e tutelate, a partire dal ruolo imprescindibile del contratto nazionale. Ma farebbero un errore le Associazioni Professionali a non riflettere e avanzare proposte e le Organizzazioni Sindacali a non valutarle. Alcuni istituti contrattuali sono gli stessi degli anni ’90, riconosce giustamente il Protocollo. Ma è cambiato tanto in questi anni, sono cambiati soprattutto i ragazzi e le loro modalità di conoscere e di apprendere mentre molto spesso la scuola ha manifestato una tendenza alla “conservazione”. Non sempre lo si dice, ma dobbiamo riconoscerlo: accanto a scuole, docenti e dirigenti, tanti, che si sono interrogati sul cambiamento e hanno messo in campo, spesso con fatica, studio e pratiche di innovazione, vi sono resistenze al cambiamento, rigidità e accomodamenti a volte inaccettabili. Penso che Proteo, per la cultura e l’esperienza che ha maturato in anni di formazione e riflessione con docenti e dirigenti, possa dare un contributo importante. Nei prossimi anni vi sarà una condizione irripetibile per il cambiamento dovuta alla diminuzione degli studenti iscritti. Va colta l’occasione, così come si fece negli anni ’90 per la riforma della scuola primaria.
- Infine, ammettiamo un dato. In questi mesi sono stati pubblicati numerosi documenti, studi, ricerche sulla scuola in regime covid, su cosa fare, sulle prospettive… da parte di Associazioni, Sindacati, Università, ricercatori, riviste… Mi chiedo quanti docenti e dirigenti ne hanno fatto oggetto di riflessione personale e soprattutto di discussione in gruppo. Tanti sicuramente, ma temo siano rimasti soprattutto patrimonio di chi, anche prima del covid, era abituato a interrogarsi, a vivere la cultura del “professionista riflessivo”. Ad essi se ne sono aggiunti altri, perché una crisi di questa natura e di queste dimensioni non poteva non sconvolgere culture professionali, prassi e abitudini. Temo però che siano ancora pochi rispetto ad una domanda e ad una occasione di cambiamento oggi più urgente di prima. È bene averlo presente, per evitare una lettura dei fatti (e della categoria…) più vicina a ciò che ci piacerebbe che alla realtà.