“Ehi, guardate! Il Re è nudo!
Un frastornante silenzio si sparse tra la folla assemblata per assistere
alla processione del Re e dei suoi Ministri mentre il riverbero delle
parole del bambino si spandeva per la piazza”.
L’emergenza sanitaria CoVid-19 ha stravolto la nostra quotidianità e i nostri rapporti sociali in tempi così rapidi e inaspettati tanto da destabilizzarci. Il mondo della scuola, dei servizi educativi, dell'università, dal momento in cui è stato chiaro che la chiusura sarebbe durata a lungo, ha iniziato a organizzarsi per continuare a lavorare attraverso diverse modalità di didattica a distanza (da ora in avanti DaD). Tutto ciò è avvenuto prima ancora che uscisse la Nota ministeriale n.388 del 17 marzo 2020 che ha suscitato dibattito, perplessità e forti critiche da parte dei sindacati e, tra le ragioni del dispiacimento per i contenuti della Nota, credo siano ascrivibili quelle di alcuni insegnanti che in modo autonomo e responsabile avevano già cercato il modo per rimettersi in contatto con genitori e bambini. Ragione principale del dispiacimento ritengo fosse riconducibile al fatto che nessun supporto pedagogico, nessun richiamo al senso di vicinanza da coltivare in questi tragici momenti fosse rintracciabile in quelle parole ministeriali.
Dalla cacofonia ministeriale al mettersi alla prova degli insegnanti
Dall’emanazione della suddetta Nota al momento in cui scrivo, si sono succeduti altri Decreti e altre indicazioni centrati su crediti formativi, recupero dei debiti, esame di maturità, didattica a distanza (o “sospensione della presenza fisica in aula”?) e possibilità di procedere, in queste condizioni, ad azioni di valutazione. Non intendo affermare che queste non siano tematiche urgenti da affrontare, ma noto con preoccupazione che la DaD ha messo allo scoperto alcune questioni delicatissime, trasversali e mai affrontate in modo culturalmente approfondito e democraticamente aperto dalla totalità di insegnanti, educatori, dirigenti: qui mi soffermo su due aspetti, l'uno è quello della valutazione formativa, improntata al miglioramento e dunque al cambiamento delle azioni educative messe in essere dagli insegnanti, l'altro è quello dell'infanzia, di bambine e bambini costretti a una ‘distanza forzata’, privati dei loro rapporti sociali, appena sbocciati nei servizi educativi e nelle scuole dell'infanzia e marginalmente considerati nella DaD. Le ragioni, io penso, siano rintracciabili nel fatto che l'apprendimento, quello “serio”, per il quale in troppi pensano debba esistere la scuola, sia ritenuto ancora da molti non pertinente a questa fascia di età. Visione pericolosa e distorta, secondo me, di idea di apprendimento, idea di scuola, idea di bambino, idea di educazione e, persino di idea di società.
Nel proporre alcune riflessioni argomentative rispetto a quanto appena scritto, farò riferimento sia alla mia esperienza come tutor coordinatore di tirocinio presso il Dipartimento di Scienze della Formazione Primaria a Genova, sia a quella più lunga di insegnante di scuola dell’infanzia. Questi ambiti mi offrono l’opportunità di avere uno “spaccato” e uno sguardo più ampio su altri contesti diversi dalla scuola nella quale sono in servizio.
DaD e scuola dell’infanzia
Quando è iniziata l’emergenza sanitaria tuttora presente, la Commissione Tirocini ha elaborato una proposta che permettesse agli studenti di proseguire il loro tirocinio diretto (quello indiretto era stato, prontamente, attivato in modalità online) attraverso l'osservazione delle diverse “strategie a distanza” che gli insegnanti e la scuola accogliente avevano previsto e attivato. La preoccupazione maggiore espressa da studenti e studentesse quando sono venute a conoscenza di questa proposta è stata dettata dal timore che nella scuola dell'infanzia non avrebbero certo trovato esperienze di DaD e, dunque, coloro che avrebbero dovuto svolgere il loro tirocinio nelle scuole dell’infanzia sarebbero stati penalizzati rispetto a quanti avrebbero realizzato il tirocinio nel primo ciclo. Preoccupazione immediatamente sfumata perché, a una prima ricognizione, è emersa una interessante varietà delle attività a distanza che le scuole dell'infanzia hanno messo in campo per mantenere un contatto con genitori e bambini.
Da qualche settimana, inoltre, anche quelle scuole dell’infanzia che avevano ritenuto poco opportuno attivare una qualsiasi forma di contatto, sono ritornate sulle loro decisioni e “ci stanno provando”. Dal semplice messaggio inviato tramite la rappresentante dei genitori sul gruppo whatsapp, ai video con canzoni mimate o lettura di albi illustrati, a brevi contatti in modalità sincrona, laddove i genitori sono disponibili.
La riorganizzazione delle attività di tirocinio ha reso necessaria una prima immediata riflessione sia sulle modalità utilizzate sia sui contenuti proposti e di avere un’idea rispetto alle attività “didattiche” che la scuola proponeva attraverso le diverse modalità - sincrona e asincrona.
Sulla questione dei contenuti, mi sembra di poter individuare un continuum alle cui estremità si possono trovare situazioni nelle quali (indipendentemente dalla modalità e strumentazione digitale utilizzata) gli insegnanti inviano moltissimi compiti, schede da colorare o compilare per arrivare a proporre lezioni online nella pretesa o convinzione che si possa fare come se si fosse a scuola e in presenza. Queste considerazioni, maturate con i colleghi coordinatori del tirocinio, le ho riportate anche nel gruppo di discussione “virtuale” di insegnanti della scuola dell'infanzia dove lavoro.
DaD: intrattenimento, lezioni e compiti o…?
Il confronto con le colleghe sul come attivare forme di DaD nella sezione dove lavoro composta da bambini di tre anni che quotidianamente giocano con bambini della sezione primavera è iniziato prima delle Note ministeriali. La prima sollecitazione che ci ha spinte a confrontarci su questo tema è derivata dal desiderio di sapere come stavano i bambini a casa, come stavano affrontando quel momento i genitori e di come potevano essere preoccupati e affaticati perché costretti a riorganizzare una quotidianità fino ad allora quasi scontata (era la prima settimana di marzo).
La seconda ragione è stata sollecitata dall’osservazione della crescente produzione e diffusione sui social di video, tutorial e altre attività proposte ai bambini, ma delle quali, spesso, non si capiva il senso che chi le aveva realizzate intendeva comunicare. Questa seconda ragione ci ha fatto desistere dal “partire in quarta” con attività proposte da noi, lasciando nel contempo il sopravvento alla prima ragione, al desiderio di sapere come stavano i bambini, i genitori, al comunicare che li pensavamo e che ci mancava lo stare insieme. Questi pensieri li abbiamo condivisi con i genitori attraverso un videomessaggio finalizzato a ri-prendere i contatti e capire, insieme, quali passi ulteriori potevamo pensare di attivare.
Il feedback è stato immediato: oltre ai messaggi dei genitori che ringraziavano per il pensiero ‘delicato’, ci sono arrivate foto dei bambini impegnati a giocare, colorare, disegnare, scrutare nell’erba del giardino di casa, con l'attenzione a noi già nota, ciò che muoveva tra i fili d'erba. Tutto questo, insieme a mamme, papà, fratelli e sorelle. Questo ci ha fatto pensare che, forse, quelle foto, quei messaggi comunicavano molto e stava a noi insegnanti decidere se prestarvi ascolto e come dar voce e valore educativo.
La scelta che abbiamo fatto insieme - che so essere stata fatta anche da molte altre scuole - è stata quella che ha ‘guidato’ le nostre scelte didattiche anche pre-Covid: osservare, ascoltare e dare voce ai bambini, coglierne gli interessi, consapevoli che la loro curiosità è il motore più potente per l’apprendimento. E così, inizialmente, abbiamo proposto ai bambini video con canzoni che avevamo cantato insieme a scuola consentendo loro di riconoscersi, rivedersi. Abbiamo pensato di collegare alcune foto inviate dai genitori ad attività molto simili che avevamo fatto insieme a scuola (brevi video di esplorazioni nel giardino con alcune parole dette dai bambini) poco prima dell'improvvisa chiusura.
A questo punto del lavoro abbiamo pensato di chiedere la collaborazione dei genitori trovando la disponibilità consueta ed è così che abbiamo realizzato un collegamento online domenicale che, con gran piacere non solo nostro, ha visto la partecipazione di entrambe i genitori di tutti i bambini. Il collegamento ha visto, in particolare, interagire tra loro i genitori mentre noi maestre abbiamo assunto, questa volta, il ruolo di mediatori e di supporter dell'ambiente virtuale indispensabile all'incontro. I bambini ci sono apparsi in modo molto naturale: alcuni stavano davanti al video, altri sono rimasti concentrati su ciò che stavano facendo pur ammiccando curiosi il particolare contesto.
DAD e collaborazione con i genitori
Siamo consapevoli che ciò che abbiamo potuto realizzare è stato possibile anche per come in precedenza e con convinzione ci siamo prese cura del rapporto con i genitori: senza la loro mediazione, infatti, l'uso della DaD sarebbe pressochè impraticabile perchè bambini di due-tre anni non sono in grado di gestire autonomamente il device per la visione dei video o la partecipazione a una “videochiamata collettiva”.
Questa esperienza ci ha fatto ulteriormente riflettere proprio sul rapporto genitori-insegnanti-educatori “in tempi normali”. Più di una volta, dopo incontri spesso faticosi con i genitori ci eravamo chieste se davvero ne valesse la pena utilizzare con loro parte delle ore già scarse per la progettazione. Ebbene, proprio in questa fase di distanziamento abbiamo chiaramente percepito che la collaborazione che i genitori hanno accordato alle insegnanti non è connessa soltanto alla situazione di emergenza, ma dipende molto dal tipo di rapporto che scuola e famiglia avevano iniziato a costruire già prima. Provo a spiegare meglio quanto ho appena affermato. Nei contesti educativi che accolgono i bambini nella fascia 0-6 - ma credo la riflessione coinvolga, per altri versi, tutta la scuola - la DaD ha assoluto bisogno della mediazione dei genitori. Ciò che osservo è che laddove le insegnanti hanno iniziato a costruire un rapporto con i genitori già in presenza, e negli anni, si ha in generale una fruizione delle comunicazioni che in qualche modo crea “vicinanza”.
DAD: vicinanza versus distanza
Laddove non si riesce ad attivare questa forma di vicinanza diventa difficile costruire forme di rapporto che vadano al di là di ciò che potremmo definire intrattenimento: quello cioè che molti programmi culturali proposti dalla RAI, all'uopo persino intensificati, possono fare molto bene.
Su questo punto va posta la dovuta attenzione perchè, se è verissimo che la didattica a distanza non può sostituire quel dialogo pedagogico fatto di relazione e di cura educativa, è altrettanto vero che chi la usa deve rifuggire il “far come se si fosse a scuola”. Manca la presenza che la relazione educativa e il ‘corpo a corpo’ trasformano in vicinanza, manca il calore degli abbracci e dei momenti di relax che ci concedevamo, manca tutta quella parte di linguaggio non verbale attraverso il quale passano le cure educative, mancano le routine, manca l'affidarsi dei bambini a noi.
Di tutto ciò che manca occorre esserne ben consapevoli e riuscire a comunicarlo a bambini e genitori. Non solo. Quel che oggi ci manca molto sono anche quegli aspetti che, in tempi normali, spesso diamo per scontati e non godono di troppe attenzioni pedagogiche. Ce ne dovremo ricordare.
Al momento, la DaD è quello che abbiamo a disposizione per comunicare ai bambini e soprattutto ai genitori, in questo drammatico e delicato momento, che li pensiamo e che siamo loro vicini. Si tratta di capire, forse, quale forma di dialogo debba essere utilizzato, quali le sue caratteristiche, quali codici deve avere per consentire di mantenere, se non rafforzare, una relazione che avevamo iniziato a costruire in presenza.
DAD e valutazione: nodi che vengono al pettine
Il tema della valutazione che, diversamente da quanto la noncuranza del MI vorrebbe far intendere, tocca, invece e da vicino, anche la scuola dell'infanzia e si presenta ancora, non solo per questa scuola, con un pericoloso dualismo che si gioca tra chi sostiene che in questa situazione non si può valutare e auspica il sei politico per tutti e chi, invece, come nulla fosse assegna verifiche e voti. Nella scuola dell’infanzia, quest’ultima postura si traduce nella smania di inviare con la DaD schede e libretti operativi, esercizi di pregrafismo e precalcolo con convinzione e financo pretesa di utilizzarli per valutare i bambini, in particolare quelli di 5 anni, in funzione del profilo da inviare alla scuola primaria.
Esplicito subito la mia convinzione sul fatto che la valutazione sia un diritto per bambini/studenti a essere val(uta)orizzati e che la valutazione/autovalutazione - quella autentica - è una responsabilità professionale. Intesa in questa accezione è davvero escluso poter valutare nello 0-6, in questa situazione di didattica a distanza? E se fossimo nella situazione in cui non è più la mamma a chiedere “Maestra, Matilde ha mangiato il passato, oggi? Andrea ha provato a uscire in giardino? Gioca? A cosa gioca? E se fosse la maestra a chiederlo o a far notare ai genitori, con una foto inviata, cosa succede a scuola? Ancora: “Alessio continua a impegnarsi per mettere i calzini da solo? Migliorare nel sapersi mettere i calzini da soli, mangiare il passato di verdura, sapersi organizzare a casa per giocare, inventandosi anche, se necessario, un amico immaginario, quali competenze comporta? Le sappiamo riconoscere?
Siamo convinti autenticamente che porsi queste domande significa stare nel tema valutazione con una precisa ottica? Infine, sempre in tema di valutazione /autovalutazione c'è da chiedersi con rigore scientifico come stanno funzionando le modalità di didattica a distanza attivate. Riflessione per nulla scontata. Eppure, appare sempre più urgente non limitarci alle impressioni, occorre invece chiedersi a quali caratteristiche/indicatori ci riferiamo per autovalutare le azioni di DaD che abbiamo messo in campo.
In base a cosa stabiliamo che una videoconferenza è meglio del messaggio ai genitori attraverso il rappresentante o meglio del video inviato con piccoli suggerimenti o lettura di albi illustrati? Dove possiamo trovare
queste "risposte"? Ci sono ricerche che lo dimostrano? E se i genitori prediligono il video con lavoretti da far fare ai bambini al posto delle fiabe lette? Noi insegnanti entriamo in casa dei bambini e dei loro genitori e dovremmo, con tutta la sensibilità e il rispetto del caso, non rinunciare al nostro compito e ruolo educativo. Come ci si pone?
Sono quesiti impegnativi che meritano attenzione e per affrontarli occorre un approfondimento formativo non lasciando soli gli insegnanti ad arrangiarsi come meglio sanno.
DaD e inclusione
Credo ci sia un aspetto che ricorre e rappresenta un filo rosso nelle riflessioni che ho proposto e che riguarda il valore dell’inclusione. La didattica a distanza ha posto in modo forte il tema dell’inclusione a fronte della difficoltà a raggiungere tutti i bambini/studenti. Ma è davvero un problema connesso soltanto alla mancanza di device o di rete? La scuola è inclusiva nel senso autentico del termine? Se ampliamo un po' la prospettiva, possiamo dire che il valore dell’inclusione si manifesta, anche, nel farsi carico delle specificità della scuola dei contesti educativi 0-6 nel sistema nazionale di educazione e di istruzione, nel fare in modo che tutti i bambini/alunni/ragazzi possano essere raggiunti dalla DaD, nel farsi carico dei bisogni formativi degli insegnanti - nello specifico in questo caso - sulle competenze comunicative e digitali. Non ultimo, il valore della collegialità sul quale, da tempo e ciclicamente, si torna a dibattere per chiederne un rinnovo e un ripensamento che deve essere, prima di tutto, culturale. Insomma, temi caldi che l’emergenza sanitaria e l’uso della strumentazione digitale ha fatto risaltare e riportato in primo piano.
Considerazioni in progress...
Le riflessioni che ho proposto mettono in evidenza alcuni dei rischi di degrado pedagogico che io vedo nello 0-6 e che la didattica a distanza ha messo ulteriormente in luce.
Risulta piuttosto evidente che, sia in situazione di DaD sia in presenza, a guidare alcune scelte e iniziative debba essere, ancora una volta, il tipo di approccio educativo che proponiamo in coerenza con l'idea di bambino, di come apprende, di quale idea di relazione educativa abbiamo. Si tratta, quindi, di ritornare sui nostri passi e ripensare alla didattica che mettevamo in campo in presenza e chiederci quali valori pedagogici hanno orientato le nostre scelte, chiederci perché facciamo quel che facciamo, sapendo che questa domanda è foriera di riflessione e acquisizione di maggior consapevolezza professionale e può aiutarci a fare la differenza tra una DaD che in qualche modo si fa carico della “cura” del bambino, della dimensione relazionale e una DaD intrattenimento/come se si fosse a scuola.
In questi termini rivolgo un appello aperto a chi ha responsabilità relative alla scuola dell'infanzia e più in generale allo 0 6: occorre comprendere cosa già si sta concretamente facendo, nella fattispecie riguardo la DaD, occorre capire di quali supporti e suggerimenti hanno immediatamente bisogno gli insegnanti.
Oggi più che mai ci dobbiamo impegnare a pensare con gli insegnanti e non per gli insegnanti. Come fare a pensare con loro e aprire un dibattito per esempio sul tema "DaD nella scuola dell'infanzia...nè intrattenimento, nè quaderni operativi e schede". Due facce di una medaglia “avvelenata” e proprio per questo occorre affrontarli e discutere in profondità. Altrimenti il rischio dietro l'angolo è quello che diventino "uniche e vigenti posture" alle quali la negligenza del mancato dibattito offre loro piena cittadinanza.