Tra le tante cose spiacevoli che ci ha donato questa pandemia a una possiamo dare valore: in questo periodo ognuno di noi ha ritrovato il tempo di dedicarsi a quelle domande fondamentali, che dentro una scuola che per alcuni doveva assomigliare a una azienda, hanno rischiato di essere dimenticate. Sono riemerse, e non solo per la scuola dell’infanzia, le belle parole che distinguono l’educazione da tutti gli altri contesti sociali ritornando ad avere il loro ruolo di vincoli di senso: l’uguaglianza, la partecipazione attiva, la solidarietà, la ricerca, la sperimentazione, il corpo e la prossimità, la libertà, la democrazia. La scuola ritrova il suo principale mandato.
Desidero lasciare la mia testimonianza in questo seminario del quale condivido appieno il documento sulla LEAD. È vero la nostra (o almeno quella della mia scuola) non è stata una didattica a distanza è stata proprio una didattica per la vicinanza.
Tra le tante cose spiacevoli che ci ha donato questa pandemia ad una possiamo dare valore: in questo periodo ognuno di noi ha ritrovato il tempo di dedicarsi a quelle domande fondamentali, che dentro ad una scuola che per alcuni doveva assomigliare ad una azienda, hanno rischiato di essere dimenticate. Sono riemerse, e non solo per la scuola dell’infanzia, le belle parole che distinguono l’educazione da tutti gli altri contesti sociali ritornando ad avere il loro ruolo di vincoli di senso: l’uguaglianza, la partecipazione attiva, la solidarietà, la ricerca, la sperimentazione, il corpo e la prossimità, la libertà, la democrazia. La scuola ritrova il suo principale mandato.
Tra le belle parole che spero non verranno mai più dimenticate io ci aggiungo la contentezza e, volendo proprio esagerare, la tensione verso la ricerca della felicità. È un mio orizzonte da sempre ma in questo periodo il vecchio insegnamento di Rodari “imparare ridendo” mi è sembrato una priorità su tutto il resto. Anche il diritto alla contentezza e alla serenità soprattutto per i bambini piccoli (ma non solo) necessita purtroppo di essere riesumato tra le belle parole che non dovremo MAI dimenticare. In questo drammatico anno scolastico, e l’aggettivo drammatico non è scelto per retorica spicciola, nel mio cercare di fare scuola a distanza la maggiore preoccupazione è stata di portare ai bambini e alle loro famiglie proposte per farli sorridere, per farli divertire.
Abbiamo inventato di tutto! E dal nulla. Sperimentato tutte le forme che sono suggerite nel documento di preparazione a questo seminario. Abbiamo cercato anche di inserire una certa processualità nelle proposte in modo tale che i bambini potessero desiderare il proseguimento, dando senso anche alla scansione di giorni che erano tutti uguali e all’attesa. Non vi nego che è stato difficilissimo, che mai ho lavorato tanto e che non avrei mai immaginato una partecipazione così appassionata a distanza. I ritorni dei bambini e dei genitori sono stati tanti e significativi. Non sono mancati sfortunatamente nemmeno da me gli scomparsi. Pochi ma ci sono stati.
Nella mia esperienza sono successe tante cose impreviste. Due avvenimenti mi hanno colpita particolarmente: il primo che in classe avevo una bimba che non ha mai parlato (mutismo selettivo) e durante la prima video-chiamata vedo che alza la mano per chiedere parola, io e i suoi compagni sbigottiti abbiamo sentito per la prima volta la sua voce. Evidentemente la tranquillità di casa, la mediazione del pc, l’hanno spinta a lanciarsi. Il secondo evento è questo: le proposte di noi docenti venivano diffuse anche dal sito della scuola con accesso libero, ad un certo punto vedo che si uniscono alle mie attività un gruppo di bambine e bambini non appartenenti alla mia sezione: figli di mie conoscenti, miei allievi degli anni precedenti e addirittura (cosa per me commovente) figli di miei ex-allievi diventati a loro volta genitori. Cose belle. La scuola in presenza certo non è sostituibile da nessuna scuola a distanza ma per dire che da ogni esperienza possiamo imparare qualcosa da trattenere, valorizzare e trasmettere.
Io nella distanza ho provato a proseguire da lontano ciò che più ha sempre animato il mio personale modo di dare senso al lavoro da anni: “dare parola ai bambini e alle bambine” nella speranza di insegnare loro che ne hanno diritto. Perciò ho raccolto le testimonianze dei bambini, quelle più intime. Quello cioè che i bambini si sono rappresentati di questo momento, prima ed al di là, delle spiegazioni razionali degli adulti. Negli anni ho scoperto come gli eventi della vita che a noi paiono trasparenti spesso nascondono impliciti che i bambini elaborano a modo loro rivelandoci panorami per noi adulti del tutto imprevisti… spesso divertenti e sempre meravigliosi.
La scuola oggi si trova ad affrontare un compito delicatissimo, in questo momento di reclusione domestica i nostri allievi, come tutti noi, stanno costruendo apprendimenti inediti, ricchi di stimoli sia in positivo che in negativo di cui una scuola attenta dovrebbe accorgersi e valorizzare. Bisogna cecare di RI-COMPORRE quest’anno assurdo dando loro la possibilità di raccontarsi e di raccontare le loro scoperte informali dalle quali, quando si tornerà in presenza, secondo me, è necessario ripartire.
Ancora una volta la vera chance per la scuola (a distanza o in presenza che sia) non può che essere “costruire saperi” attorno alle cose che capitano, vivendo. Da questa enormità di imprevisti che la situazione ci ha elargito: isolamento, confino, tsunami delle relazioni, vicinanze distanti, strumenti, piattaforme, pericoli e speranze… dobbiamo cercare di farcene qualcosa.
La ripartenza preoccupa soprattutto per la mancanza da parte del governo di investimenti a livello economico e di idee realizzabili che tangano assieme la sicurezza, la salute e la qualità dell’educazione. Se le idee sono davvero (io non ci potevo credere) fare dei cappellini lunghi un metro, portare mascherine o mettere dei separé in plexiglass sui banchi, siamo persi!
È davvero il momento di chiamare in campo tutte le energie, le risorse e le competenze del territorio. Mi riferisco all’idea che tanti piccoli spazi delle città diventino finalmente a misura di bambino. Che vengano ristrutturati gli spazi scolastici, e non, e predisposti per poter a periodi anche fare scuola all’aperto. È il momento di avviare dei processi e tavoli di progettazione partecipata in cui insegnati, dirigenti, amministratori, architetti, urbanisti, paesaggisti, bibliotecari, teatranti possano, in situazione, inventare una nuova “normalità”. Non vorrei essere pessimista ad oggi resta poco tempo e ancora meno sono le ipotesi implementabili. Se davvero per crescere un bambino ci vuole un villaggio, questo è il momento di lavorare sul villaggio.
Ma aggiungo e concludo un’idea che trovo debba essere irrinunciabile è che tutto il tratto 0/6 debba essere considerato SCUOLA e non solo servizio proprio per non tornare a quei modelli che consideriamo superati volti solo alla custodia.
Dobbiamo chiedere tutte le condizioni (spazi, organici, compresenze, formazione…) e le risorse necessarie che permettano davvero di valorizzare la nostra professionalità faticosamente costruita nel tempo e sul campo in tanti anni di lavoro, a garanzia del mantenimento del livello di qualità che le scuole dell’infanzia e gli asili nido sono stati capaci di costruire.
Nadia Ferrari