In questi giorni ho assistito (a volte sgomento) ad una discussione sui dati relativi alle iscrizioni alla scuola secondaria superiore che presentano rilevanti
spostamenti della “domanda” in direzione degli indirizzi liceali, con conseguente diminuzione di quelli tecnici e soprattutto professionali.
In questi giorni ho assistito (a volte sgomento) ad una discussione sui dati relativi alle iscrizioni alla scuola secondaria superiore che presentano rilevanti spostamenti della “domanda” in direzione degli indirizzi liceali, con conseguente diminuzione di quelli tecnici e soprattutto professionali.
Non voglio neppure commentare le prese di posizione di alcuni autorevoli “maître à penser” che si affacciano sulla loggia di quel macro aggregato istituzionale e sociale che è il sistema di istruzione, e da lì sentenziano sulla base di costrutti fondati su assolutamente arbitrarie equivalenze come “cultura=umanistico” e il sottostante implicito (per la “cultura” nazionale) “umanistico=letterario”. Che riaffermano il rapporto tra la cultura ed il lavoro nel paradigma della separazione tra “otium e negotium”. E propongono implicitamente l’impostazione, assolutamente innovativa, della classificazione dell’istruzione e del sapere secondo “Trivio e Quadrivio”. Troppa innovazione…
Invece mi colpiscono riflessioni preoccupate che sollevano problematiche assolutamente fondate che interpretano quei dati come effetto di un attenuarsi della consapevolezza del valore dell’istruzione come “investimento”, o di una insufficienza delle attività e contenuti dell’orientamento. E paventano, di conseguenza, l’attenuarsi dello stock di competenze tecnico scientifiche disponibili allo sviluppo futuro del Paese.
Si tratta di approcci, e in qualche caso di proposte, più che sensati. Mirati a fornire risposte adeguate e correttive in termini di “offerta” da parte del sistema di istruzione. Ma legate alla emergenza.
Vorrei perciò provare a pormi dalla parte della “domanda” e cercare di comprenderne non solo gli “aspetti preoccupanti” (vedi sopra) ma anche i “fondamenti” che porrebbero alla offerta problemi assai più rilevanti che non per esempio quello (importantissimo) dell’orientamento.
Vi sono componenti della domanda sociale di grande significato. Provo a enumerarli
1 La consapevolezza diffusa che la scolarizzazione sia un valore generale e che dunque sia “naturale” disporre la prosecuzione nella istruzione superiore. (Si guardi all’andamento storico dei tassi di passaggio dalla scuola Media a quella superiore). Prima ancora che un “investimento” certo un valore sociale quasi “ovvio”.
Se si tien conto che “l’obbligo di istruzione” al biennio superiore è un “fantasma che si aggira” potremmo affermare che tale positivo “valore sociale” della domanda si trovi in realtà in condizioni di non poter avere una offerta adeguata, visto che quel “biennio” è in realtà disarticolato in indirizzi che conservano una repertorizzazione tradizionale.
Non è una novità per il rapporto tra domanda sociale di istruzione e offerta del sistema: la stessa scolarizzazione di massa (“tutti a scuola”) si affermò nel comportamento sociale del nostro Paese “prima” che il sistema fosse in grado di costruire una “una scuola per tutti”
2 Il comportamento della domanda sociale non può non essere influenzato dalla scala e gerarchia di valori che viene riprodotta rispetto alla “rappresentazione” del valore della scuola. Se dalle logge della intelligentija nazionale si proclama la “superiorità” del Liceo (quello frequentato “a suo tempo” da quella intelligentija), l’istanza emancipatoria che (per fortuna fisiologicamente) alimenta la domanda sociale perché non dovrebbe scommettere sulla possibilità di offrire ai propri figli “il meglio” tenendo sempre più in riserva una eventuale “seconda scelta”?
Per i tanti che stra/parlano di investimento, ricordo che nella saggezza popolare un investimento è un sacrificio dell’oggi (rinuncio ad altre scelte di consumo…) in vista di un vantaggio futuro, anche solamente “sperato”. Su questo piano la responsabilità degli “intellettuali” (la costruzione di un di una cultura sociale e di un “senso” diffusi) ci ricorda una costante della nostra storia nazionale: il “tradimento dei chierici”
3 Ai commentatori preoccupati di tali orientamenti della domanda raccomando anche di osservare più da vicino la articolazione degli indirizzi liceali che non corrispondono più alla ricostruzione mentale tradizionale che alimenta il “senso comune”. Il Liceo delle Scienze Umane è cosa diversa dal classico “liceo classico”, esattamente come alcuni Licei Artistici hanno travasato nella nomenclatura liceale approcci da “Istituti D’arte” (professionali). Con tali avvertenze invito i tanti preoccupati di tali orientamenti della domanda a guardare con attenzione alle dislocazioni sociale che accompagnano la distribuzione delle iscrizioni tra i diversi indirizzi della scuola superiore.
Solo per accenno ricordo alcuni dati (si riferiscono ad anni precedenti, dunque non influenzati da COVID). Se guardo alla distribuzione dell’indice ESCS (Indicatore della condizione socio economico culturale di appartenenza degli studenti) si osserva che gli iscritti ai licei hanno un ESCS superiore alla media nazionale +0,47. Quelli dell’istruzione tecnica inferiore di -0,14, quello dei professionali è inferiore di -0,60.
Se si guarda ai dati degli esiti delle rilevazioni INVALSI distribuiti per quartili di ESCS si può verificare che tra il primo quartile (ESCS più basso) e il quarto quartile vi sono differenze di punteggio medio sia in Italiano che in Matematica di circa 26 punti (oltre il 14%). Sono dati del biennio, quindi teoricamente di istruzione obbligatoria. La dinamica della selezione sociale mi pare evidentemente agisca “in partenza” (Rimando alle analisi delle “restituzioni”delle rilevazioni INVALSI). Prima di qualunque “orientamento” ben fatto.
Se dovessi riassumere con un approccio positivo di “comprensione” di certe dinamiche sociali che ispirano la domanda istruzione, prima ancora di preoccuparmi delle risposte dell’offerta sottolineerei alcune componenti
a Il consolidarsi di una consapevolezza quasi ovvia e naturale del valore dell’istruzione (Gramsci ricordava che le classi popolari, di fronte al fatto che solo i figli dei ricchi avevano successo scuola, finivano per pensare: “la cultura è un trucco dei padroni”). Non è più così.
b Il mantenimento di una istanza emancipatoria legata al livello di istruzione: desidero e cerco la “prima scelta” per mio figlio.
c La ricerca di un indirizzo di istruzione che declini quel “valore in sé”, non è necessariamente legata a prospettive lavorative immediate ma spostate nel tempo successivo
d La disponibilità all’investimento: il sacrificio dell’oggi in vista di un miglioramento
e La sensibilità a valori e gerarchie riconosciute socialmente sotto il profilo culturale.
Se dovessimo ridefinire una politica dell’offerta capace di interpretare e valorizzare tali componenti della domanda di istruzione oltre che naturalmente rispondere alla contingenza (misure di potenziamento dell’orientamento) dovremmo impegnare strategie non di breve termine. Solo alcune indicazioni (consapevole che le prospettive sono da NGEU… non da contingenze…)
1 Consolidare e specificare l’obbligo di istruzione connettendolo non ad un repertorio tradizionale di indirizzi ma ad un “disegno culturale unitario” per rispondere primariamente alla istanza emancipatoria della domanda di istruzione. (Dare un corpo al fantasma dell’obbligo a 16 anni che si aggira nell’ordinamento). Una piattaforma culturale comune per tutti, che interpreti oggi il dettato costituzionale (“l’istruzione inferiore…obbligatoria e gratuita…”)
2 Affrontare con interventi finalizzati e con risorse adeguate la dimensione del recupero che i dati sulla disuguaglianza mostrano come emergenza. Ampia questione di investimento che va dalla strumentazione didattica, ai tempi della scuola e a come sono riempiti, alla essenzializzazione dei programmi e delle indicazioni, ad una lotta culturale e operativa alla disuguaglianza dei risultati.
3 Riaccorpare la frammentazione degli indirizzi della scuola secondaria superiore come passo essenziale del superamento di valori e gerarchie culturali obsoleti e scomposti. Lo sviluppo futuro avrà bisogno di tecnici informatici con grandi competenze in filosofia (non “storia della…”) o di filosofi capaci di interrogare e profilare banche dati e misurarsi con AI. E così via…
4 Potenziare il sistema di istruzione/formazione post secondaria e terziaria non universitaria. In modo da disegnare una prospettiva alla domanda sociale di istruzione che vada oltre il classico percorso universitario. Articolare l’offerta post secondaria è orientare positivamente la domanda.
5 Ma c’è un impegno che viene prima degli altri e che ha la dimensione della battaglia culturale. Quello che riguarda il rapporto tra cultura e lavoro. Il mantenimento della separazione alimentato da dinamiche sociali selettive e di riproduzione delle disuguaglianze per le quali comunque il “titolo di studio” era garanzia sociale; al minimo garantendo una occupazione nel terziario pubblico (una sorta di “risarcimento”, a prescindere dalle competenze effettive… vedi purtroppo molta occupazione nella Pubblica Amministrazione…) è costrutto ormai obsoleto. Ma va smontato nella cultura sociale se vogliamo evitare i dannosi suoi effetti.
Che i nostri “maître à penser” si convertano: il sapere ha un valore assoluto, un “valore d’uso” dell’uomo, per il soggetto (mi si perdoneranno le categorie marxiane), ma ha contemporaneamente un “valore di scambio”. Ciò che il soggetto “sa e dà” al contesto sociale in cui vive ed opera. Il “valore di scambio” (sociale, economico, produttivo…) del “sapere individuale” che si dialettizza con il suo “valore d’uso” si chiama, per usare un termine (nella scuola abusato) “competenza”.