Ritengo molto positiva l’iniziativa del Protocollo pedagogico in tempi di pandemia. Offre l’occasione per riflettere ed agire cercando di fare uno sforzo per sottrarsi all’imposizione della logica emergenziale.
Ritengo molto positiva l’iniziativa del protocollo pedagogico in tempi di pandemia. Offre l’occasione per riflettere ed agire cercando di fare uno sforzo per sottrarsi all’imposizione della logica emergenziale. Non facciamoci dettare l’agenda dalle emergenze. Collochiamo le emergenze, prendendole sul serio, in una prospettiva lungimirante. Evitiamo che, volendo spegnere l’incendio, si facciano più danni del fuoco.
Mi propongo di fare alcune riflessioni a sostegno del protocollo pedagogico estrapolando dallo stesso protocollo pedagogico alcune frasi, facendo seguire alcune considerazioni.
Il problema degli organici ha una storia infinita. Per questo potrebbe indurre a cercare di risolverlo presto, e una volta per tutte. Col rischio di semplificazioni pericolose che potrebbero portare nuovi problemi anche più seri, se è possibile. Occorre tener conto della demografia, dei flussi migratori, e del fabbisogno delle scuole, tenendo conto dei profili professionali e dei profili di competenza. Incrociare i dati non è semplice. L’invecchiamento della popolazione è un dato di fatto. Il tasso di natalità è un fatto. L’assunzione dei precari della scuola, può essere un fatto. Il tentativo di arrestare i flussi migratori può essere un fatto. Ognuno di questi fatti può andare per conto suo, o sarebbe bene, per evitare sconquassi, cercare di metterli in relazione fra loro? In particolare crediamo sia bene tenere insieme l’invecchiamento della popolazione, il basso tasso di natalità e il flusso migratorio. Per molte ragioni. Vivere il flusso migratorio come invasione minacciosa, che attenta ai nostri valori, è falso e sbagliato. Il diffuso fenomeno di quelle che chiamiamo ‘badanti’ dovrebbe dirci qualcosa in proposito. Potrebbe suggerirci che il flusso migratorio può salvaguardare l’equilibrio fra popolazione e territorio. Invecchiamento e spopolamento rendono le contrade e i paesi tristi perché sembra siano senza futuro. Meglio un futuro vuoto, o un futuro con voci che forse non parleranno il nostro dialetto ma saranno presenze vive? È bene che ci educhiamo, se non vogliamo né sconquassi né deserti, a tenere in relazione tassi e flussi. Ma l’accoglienza ha bisogno di mediatori. Vorremo vedere qualche insegnante proveniente da altre culture. Fra chi è arrivato da paesi lontani c’è chi ha titolo per insegnare …
Questo è un punto particolarmente delicato. Credo che se tutti coloro che vivono con lavoro precario debbano avere garanzie e tutele, non tutti possano e debbano essere assunti nella scuola. Va fatta una selezione. So che una posizione come questa suscita ostilità. La capisco. Nello stesso tempo devo sostenere la posizione che ho espresso. Ritengo che non basti il computo degli anni di supplenze. Credo che il sindacato debba partecipare a un cambiamento, e il protocollo pedagogico e è una prova eloquente. Garantire tutti e partecipare a scelte sostenibili perché fondate su competenze accertate e utili in un progetto comune lungimirante.
Il Profilo Professionale è un quadro stabile e comune a chi fa una professione, mentre il profilo di competenza è variabile e personale. Prendiamo ad esempio l’educatore sociale: la possibilità che l’educatore sociale abbia un profilo professionale deve essere accompagnata dalla possibilità che ciascuno possa curare se stesso o se stessa costruendosi un profilo di competenza. Pochi profili professionali, chiari e definiti con una certa stabilità. E molti profili di competenze, aggiornabili, capaci di intercettare nuove e vecchie necessità
Vorremmo chiarire come all’interno di un profilo professionale vi possono essere più profili di competenza; che non sono un sistema chiuso: sono una dinamica aperta per cui vi può essere l’educatore sociale che acquisisce un profilo di competenze ben documentabile e trasferibile. -Vanno chiariti i profili professionali: l'educatore segue un progetto di vita del disabile, per questo occorre cominciare a ragionare su un budget di salute personalizzato e inclusivo.
Pensiamo a risorse che la persona può spendere – il budget di salute - scegliendo da chi deve essere seguito sulla base di un elenco di cooperative accreditate che conoscono il territorio. Così si ribalta un paradigma: è il disabile, o la sua famiglia, a poter decidere a chi rivolgersi in base alle necessità scegliendo la cooperativa o l'educatore professionista più adatto: chi ha bisogno di strumenti telematici, chi di altro tipo di sostegno.
L'insegnante deve fare quello a cui è chiamato: insegnare. Se le scuole sono sagge articolano gli spazi per permettere un tempo forte di rapporto individuale con l'alunno e contemporaneamente anche l'inserimento nel gruppo classe. Il sostegno non può essere usato per sottrarre alla classe il disabile visto come soggetto che rallenta. Occorre un grande lavoro di collaborazione per un progetto inclusivo.
L’insegnamento non è esclusivamente lineare e simultaneo. È diffusa l’opinione che l’insegnamento naturale sia quello che possiamo definire simultaneo tutti, se sono normodotati, imparano nello stesso tempo e con le stesse tappe progressive. L’insegnamento simultaneo si fonda sulla credenza che vi siano percorsi di apprendimento di base che tutti devono avere, nello stesso modo e con le stesse sequenze. Le esperienze non sono sufficienti per cambiare le convinzioni diffuse, che sembrano appoggiare su un’autorità indiscussa e indiscutibile. Tolomeo aveva dettato legge per secoli. Galileo e le sue sperimentazioni non potevano smentire quell’autorità. L’insegnamento simultaneo frontale è percepito come naturale. La natura è autorità e l’esperienza dell’educazione cooperativa può sembrare un’avventura forse simpatica ma trasgressiva.
Nella realtà italiana la scuola si è fatta promotrice di una rivoluzione pedagogica che ha consentito di affiancare a un approccio tradizionale disciplinare un’ampia gamma di offerte formative dal taglio altamente educativo. La sua funzione si è infatti progressivamente articolata passando dall’essere agenzia di istruzione ad agenzia di formazione ed ora anche agenzia di promozione del benessere. Tale cambiamento è stato sostenuto sempre più chiaramente dalle norme che regolano la materia a livello legislativo e ministeriale (legge 162/90; legge 216/91; legge 285/97). In quest’ottica ci proponiamo di utilizzare il modello dell’educazione all’autostima e all’autoefficacia.
Durante la pandemia, i mezzi di comunicazione di massa, parlando di scuola hanno fatto nella stragrande maggioranza delle informazioni la seguente equazione: fare scuola = far lezione. La pandemia ci rivela debolezze organizzative e concettuali. Vincere la pandemia vuole essere prendere coscienza di quelle debolezze e fare il possibile per rimediare. Ecco alcune debolezze:
Il protocollo pedagogico aiuta a ripensare la scuola. Per chi nella scuola opera, ripensare al proprio operare: un altro punto delicato. Nell’idea di insegnamento/apprendimento lineare e simultaneo, chi insegna vive un narcisismo particolarmente acuto e pervasivo. È sempre più acuto secondo la fascia in cui si opera, dalla scuola dell’infanzia all’università. È un narcisismo, che potremmo considerare malattia professionale, che vorrebbe che ogni allievo rispecchiasse l’insegnante. Se non lo rispecchia? È un allievo problematico, o caso sociale o da certificare. O entrambe.
Esiste l’insegnamento laboratoriale. È efficace. Chi è impegnato in un’attività di un laboratorio, deve conoscere e capire in quale filiera produttiva è collocabile e collocata quell’attività. Dalla produzione ai consumi. È la filiera. Composta da diverse produzioni che si collegano l’una all’altra, trasmettendosi ciascuno la propria produzione. Questa viene accolta e integrata, a volte con apposito trattamento, in una nuova produzione a sua volta trasmessa. Il soggetto vive una storia che interagisce con la storia più ampia.
Coloro che lavorano negli atéliers si definiscono con una pratica educativa altra da quella dell’insegnante in aula. La loro prassi prevede quella che viene chiamata la relazione di contiguità, “essere accanto a …”, o anche relazione di atélier, di laboratorio. Le persone sono accanto, le età sono diverse, qualcuno ha assunto un compito che è quello di lavorare una materia, di costruire qualche cosa, un oggetto, di elaborare: è il laboratorio, al cui centro vi è un’attività finalizzata, che deve produrre oggetti, lavori. Tutta l’organizzazione del tempo, dello spazio, dei materiali, dei gesti, è determinata dalla finalità del laboratorio, una finalità produttiva.
Linearità e simultaneità portano inevitabilmente a un sistema polarizzato. La Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, (Nazioni Unite, 3. 5. 2008) riguarda più di 650 milioni di individui nel mondo. È un mondo in cui la mobilità delle popolazioni è in continuo aumento; in cui la media della durata della vita, in paesi come il nostro, è aumentata (invecchiamento della popolazione); in cui si calcola che, in media, un individuo che viva 70 anni, avrebbe 7 anni – anche comulativi – di condizione di disabilità.
La disabilità, come emerge dalla Convenzione, è un concetto in evoluzione. L’art. 1 ribadisce che la disabilità è il risultato dell’interazione tra le caratteristiche delle persone e le barriere attitudinali e ambientali che incontrano.
È inscindibile dalla qualità della vita; che può dipendere:
Queste annotazioni dovrebbero indurre a pensare che un buon accompagnamento verso il progetto di vita (la vita indipendente) di persone con bisogni speciali può avere ricadute fondamentali anche per chi si ritiene con bisogni normali. Chi è attento alle risorse economiche dovrebbe sapere che in questo caso la spesa può essere un buon investimento.
Uno studioso particolarmente capace nella lettura dei dati demografici, come è Massimo Livi Bucci (2009), ci aiuta a capire la situazione dei giovani in questi anni. Gli under 30 sono quantitativamente meno rilevanti dei loro coetanei di pochi decenni fa, e le percentuali di loro presenze nelle diverse categorie professionali sono in vistoso calo. Sembra proprio che chi ha quell’età, oggi, sia minoranza, conti poco, e sia lento nei processi di maturazione. Se facciamo coincidere l’età adulta con la maturazione lavorativa che permette autonomia, presente e in prospettiva, dovremmo ritenere che la precarizzazione prolungata sia un motivo di un’età giovanile prolungata oltre le sembianze dei soggetti. I giovani sembrano omologati. Ma, riflette Livi Bacci, essi sono tali per ragioni che sfuggono al loro controllo: sono in realtà, “disuguali per forza” e non per scelta, e solo apparentemente omologati.
Insisto sul laboratorio come modalità di svolgere il compito dell’insegnamento. L’alternanza scuola/lavoro è un’occasione da non perdere e da difendere con tenacia e portando argomenti. È un’occasione storica: se perdi questo treno, vai a piedi.
Esige un quadro organizzativo complesso. Per esperienza, propongo l’agenzia viaggi: ne fa parte e fa parte dei possibili mediatori organizzati. I mediatori possono essere oggetti, luoghi, persone, istituzioni. Un’agenzia viaggi è un luogo, dove ci sono persone organizzate (istituzione) e si trovano oggetti (depliant, schermi di computer …).
Ragazze e ragazzi viaggiano tutti i giorni da casa a scuola.
Il viaggio come metafora della vita umana e umanizzata. Altri esseri viventi dipendono dalla nicchia in cui sono collocati dalla nascita. L’essere umano viaggia, si mescola, e si meticcia. E diventa, in questo modo, più umano. Che vuol dire anche più simbolico, collegato a simboli che vanno oltre i dati che chiamiamo oggettivi.
Nella storia dell’umanità possiamo incontrare il mito di Prometeo. Che rubò il fuoco. Zeus aveva deciso, dopo un inganno che Prometeo gli aveva giocato, di non dare più agli umani il fuoco, che riscalda, illumina, cuoce i cibi. Senza fuoco, la terra era buia, triste, fredda. Ma gli dei punirono Prometeo legandolo su una rupe, con un’aquila che gli mangiava il fegato. Che ricresceva in modo che la punizione non finisse mai. Ma Prometeo sopportava con rassegnazione, senza un lamento. E col tempo l’ira di Zeus svanì e Prometeo, liberato, fu accolto fra gli immortali. Che poi significa: fra i più umanizzati.
Partiamo dal domandarci cosa è un’agenzia viaggi. Nel definire le agenzie di viaggio e turismo, le varie regioni italiane hanno mantenuto il riferimento all'art. 9 della prima legge quadro 217/1983, infatti: Sono agenzie di viaggi e turismo le imprese che esercitano attività di produzione, organizzazione di viaggi e soggiorni, intermediazione nei predetti servizi o anche entrambe le attività, ivi compresi i compiti di assistenza e di accoglienza ai turisti. Esse sono sorte grazie a due specifiche esigenze:
Ci aggiungiamo un’esigenza:
La nostra agenzia sarà senza biglietteria, ma punterà sulla capacità di fare da intermediaria fra i desideri del cliente-studente, e le realtà. Sarà un’agenzia individuale, capace di prendere contatti utili all’esplorazione delle realtà indicate dal cliente-studente. Per questo formerà rete con altre agenzie e soggetti utili allo scopo e tali da fornire garanzie di serietà ed affidabilità.
La nostra agenzia sarà una simulazione organizzata e realizzata dagli stessi studenti, che potranno servirsene sia per orientarsi e orientare realmente; che per rispondere a domande del tipo “come raggiungere trigonometria?”, “come andare agli imperativi kantiani?”, eccetera.
Nel percorso del progetto, come in un viaggio, ogni incontro può avere la sua importanza. Cominciamo dai famigliari di ogni viaggiatore. La loro valorizzazione è paradossale: devono diventare un buon ricordo, che accompagna e non imprigiona, non abbandona e fa compagnia. Devono imparare a leggere e farci leggere il positivo che si nasconde nelle quotidianità. La loro valorizzazione permette di incontrare altre persone. Di tessere la propria rete sociale, composta da negozianti, vicini di casa, autisti di corriere, passeggeri abituali, e chissà ancora quante persone che costituiscono una rete sociale, così necessaria per ogni essere umano.
Una agenzia viaggi fornisce informazioni. Per avviarne la realizzazione bisogna raccogliere informazioni. Da chi? Intervistando chi lavora nei trasporti che assicurano i viaggi quotidiani dalle abitazioni alla scuola. Chi farà le interviste? Le ragazze e i ragazzi che in questo modo entrano nel progetto e lo fanno diventare, giorno dopo giorno, il loro progetto. Possono contare sull’aiuto di chi fra le e gli insegnanti ha competenze e disponibilità, in collaborazione di chi è educatore o educatrice. Non dovranno mancare, nelle interviste, domande relative a chi, forse compagna o compagno di scuola, ha difficoltà di autonomia, per limiti certificati. Quali facilitazioni esistono o possono essere realizzati in modo da permettere la mobilità non solo a quella compagna o a quel compagno, ma anche a una popolazione composta da anziani, infortunati, e anche da chi vive un impedimento temporaneo.
Bisogna dotarsi di informazioni su orari e percorsi, non solo per gli itinerari dalle abitazioni alla scuola, ma anche all’intero territorio. E proporre itinerari nel mondo del lavoro.
Dopo un certo tempo dall’avvio del servizio dell’agenzia viaggi, è bene fornire a tutti una documentazione dell’attività svolta, dei traguardi raggiunti, con autocritiche per quelli mancati, fornendo numeri, immagini, testimonianze …
Questa fase fa emergere i committenti, espliciti ed impliciti, dell’agenzia. Se per i committenti espliciti tutto è chiaro, per quelli impliciti le cose si fanno più difficili. Possiamo presumere che i committenti impliciti siano i famigliari, e la documentazione può essere utile per loro, che potrebbero e dovrebbero essere interessati al progetto di vita della ragazza o del ragazzo, committenti espliciti. I committenti impliciti dovrebbero anche essere i rappresentanti dei possibili posti dove possono essere spendibili i profili professionali che escono dalla scuola.
Lo scambio di opinioni e commenti con tutti questi committenti servirà per formulare una valutazione dello sviluppo del progetto, e per darsi un appuntamento per una nuova verifica.
Anni fa, Mario Lodi scriveva: “Se non sei per la liberazione dell’uomo, porti a scuola la tecnica del padrone, duro o paterno a seconda dei casi […] i ragazzi ti muoiono davanti agli occhi un poco ogni giorno nella compressione della fantasia e dell’intelligenza, nel distacco sempre più netto fra la scuola e la vita, nell’astuzia con la quale ti studiano per il proprio tornaconto” [M. LODI (1970 e ristampe), Il paese sbagliato. Diario di un’esperienza didattica, Torino, Einaudi, pp. 23-24].
Qualche decennio prima, un altro maestro scriveva: “Al termine dell’anno scolastico i gobbi lo erano ancora, idem dicasi per i deficienti”. Relazione annuale del Maestro Benito Mussolini (nel 1902, a Gualtieri, Cfr. G. PECORINI (1983 e ristampe), Il milite noto, Palermo, Sellerio.).
La sfida continua. Non ricomincia mai da zero. E la memoria del progetto inclusivo che parte da lontano è fondamentale. Una pianta senza radici fa una brutta fine.
Scopro con piacere nuovi dirigenti che hanno a cuore la crescita dell’intera comunità scolastica. Chiedono, e c’è chi non approva, che chi fa qualcosa di bello lo metta a disposizione di colleghe e colleghi. Una scuola non deve essere un non luogo. Chi la dirige deve mettere la sua personalità al servizio di uno sviluppo originale. Un essere umano che sta crescendo porta novità. Si proietta verso il futuro. Deve essere aiutato e incoraggiato in questa direzione. Dirigersi insieme. Una scuola deve tenerne conto. Non può essere un non luogo con l’obbligo di lasciar fuori ogni novità. Se chi dirige non vuole tener conto delle novità, trasmette agli insegnanti un analogo atteggiamento. Le conoscenze, plurali, sono scomode ed esiste la conoscenza codificata, già stabilita e che va soltanto trasmessa.
Le conoscenze che potrebbero arrivare da bidelle e bidelli, da famigliari di alunni, da autisti di pulmini, oltre che, certamente, da insegnanti e alunni, andrebbero assunte in modo da risultare evolutive, e quindi innovative e integrabili nell’ordito istituzionale. È un compito da Dirigente. Da solo? Un’armonia viene eseguita dal solo direttore d’orchestra? Dirigersi insieme.
Si apre un mondo … Paulo Freire1 chiama una certa educazione “bancaria”. La concezione bancaria dell’educazione è “quella visione […] per la quale il processo educativo è un atto di continuo deposito di contenuti”2. Enfatizza la contraddizione tra educatore che deposita ed educando che riceve i depositi. È una falsa educazione, disumanizzante e che rende passivi. È necrofila mentre dovrebbe essere biofila. L’educazione umanizzante propone sorprese, stupore, inatteso. Bisogna esplorare i depositi.
L’esistenza di depositi è impegnativa per chi cura la formazione. Se la formazione, di base e permanente, di una professione ha la presunzione di costruire competenze professionali da zero, sciaguratamente taglia ogni possibilità di approvvigionamento dai depositi. Purtroppo è quello che accade sovente. Sarebbe meglio partire da alcune domande: a quale serbatoio di competenze accumulate dalla storia sei già collegato/a? A quello di tua nonna, ad esempio? Come possiamo assicurarne la manutenzione? E a quali altri depositi, specifici per questa formazione, possiamo collegarci e collegarti? E ancora: come possiamo fare in modo che la miscela di più depositi non crei un inquinamento ma assicuri un potenziamento? Cioè: non sia confusa ma integrata nelle sue diverse componenti? Rispondere a queste domande è fare formazione. Forse apre le strade al possibile. Le chiude se ha troppe certezze, che soffocano le poche che meritano di essere prese sul serio. Che non è prenderle alla lettera.
Le Nonne possono essere il simbolo, che affonda nel tempo, di competenze straordinarie e nascoste. Il nascondiglio più semplice e misterioso: sotto gli occhi di tutti, che però proprio per questo non vedono. È competenza di donne, quella che si avverte quando manca.
L’abbiamo ritrovata in certe Bidelle, educatrici straordinarie per capacità di essere organizzatrici di spazi e tempi, punti fermi di uno scenario che avrebbe inquietato qualche ragazzo e qualche ragazza se non ci fosse stata la Bidella, forse un po’ burbera, ma chiara e sicura. E l’abbiamo ritrovata in qualche Educatore e qualche Educatrice, che ha riconosciuto che alcune competenze –ovvero passioni che sono diventate competenze – sono state trasmesse dalla Nonna.
Le Bidelle, e le Nonne, possono essere giustamente diffidenti. Possono ritenersi prese in giro, come forse si sentirono i contadini analfabeti che incontrarono Freire. Questo signore che viene dalla città dice che vuole imparare da noi? Ci prende in giro? Per attingere a certi depositi bisogna avvicinare chi li ha con molta pazienza. Utilizzare la saggezza di chi consuma i sandali in silenzio, e cammina accanto ascoltando anche il silenzio. Con la capacità, direbbe Freire, di gestire la tensione tra parola e silenzio.
1Cfr. Freire P. (2017), Le virtù dell’educatore, Bologna, EDB.
2 Op. cit., p. 54.