Associazione professionale Proteo Fare Sapere
21 agosto 2020

Lettera di Fabio Bocci alla Ministra Azzolina

Se il virus Sars-Cov-2, come tutti i virus, ha una sua forma di intelligenza nel suo cercare di adattarsi e di sopravvivere nel sistema biologico cui chiede (pretende) di essere ospitato, noi abbiamo un’arma in più (che lui non ha), mediante la quale aumentiamo le possibilità di batterlo: l’immaginazione.

 

Gentile Onorevole Ministra Lucia Azzolina 

mi chiamo Fabio Bocci e sono Professore Ordinario di Didattica e Pedagogia Speciale all’Università Roma Tre. 

Le scrivo questa lettera aperta sia come studioso dell’educazione sia come genitore, padre di una ragazza di 17 anni che nell’imminente nuovo anno scolastico frequenterà il IV anno di un Liceo Artistico della Capitale. 
La decisione di riaprire le scuole (come spazi fisici, perché come lei ben sa le scuole non sono mai state chiuse come spazi di apprendimento e di relazione) il 14 settembre 2020 è una scelta coraggiosa, che Lei ha perseguito con forza e determinazione. 
Una scelta non scontata anche se per molti versi obbligata, sia per il valore simbolico che assume sia in considerazione del malcontento nei confronti della Didattica a Distanza che è stata attuata nei mesi del confinamento per la Pandemia. Ci sarebbe molto da dire su questo malcontento; andrebbe infatti chiarito una volta per tutte che la cosiddetta DAD che abbiamo messo in campo in quei giorni convulsi poco ha avuto a che fare con i principi dell’e-learning e molto, invece, con una didattica emergenziale che ha comunque consentito di fronteggiare un momento del tutto imprevisto e che ci ha trovati impreparati. Ma non è questo il momento di dissertare su tale questione (anche se, va detto, resta sullo sfondo e rappresenta una variabile non secondaria rispetto alle decisioni che si stanno assumendo), preferendo concentrarmi e condividere con Lei alcune riflessioni su quanto stiamo per attuare. 
Quello di ri-aprire fisicamente le scuole il 14 settembre è stato definito (ed è) un atto imprescindibile, fondamentale, su cui – come ha detto il Ministro Speranza – non ci è consentito fallire. Nicola Zingaretti, confermando questa convinzione, ha addirittura affermato che la scuola deve essere l’ossessione di tutti. 
È giusto, la scuola deve essere nel pensiero ricorrente di tutti. 
Lei, Ministra Azzolina, e questo le va riconosciuto senza se e senza ma, in questi mesi e in queste ore ce l’ha messa e ce la sta mettendo davvero tutta affinché si parli di scuola e si trovino soluzioni concrete. 
E, come è altrettanto giusto che sia, per dar credito e corpo a questa decisione come Ministro/Ministero unitamente alla compagine di Governo e con il contributo degli esperti (CTS, ISS, ecc…) sta/state mettendo a punto delle strategie per garantire non solo la riapertura fisica a partire dal 14 settembre ma anche il non dover richiudere una volta riaperto (una sua preoccupazione ricorrente in queste ore). 
In altre parole, si tratta di strategie finalizzate a garantire il massimo della sicurezza possibile in una condizione di rischio qual è quella attuale. Del resto è inevitabile, stante quanto ci hanno insegnato gli studiosi della teoria dei giochi, i quali ci spiegano che applicare una strategia significa assumere decisioni in condizioni di rischio. Il rischio qui, lo conosciamo (purtroppo) bene, è quello che il ritorno dentro le mura scolastiche di circa 8 milioni di alunne/i studentesse/i possa innescare un aumento di contagi. Cosa da scongiurare assolutamente, non fosse altro che (a differenza delle discoteche e dei luoghi di divertimento o di vacanza, dove ci si reca volontariamente) la scuola non può eticamente rappresentare un luogo a/di rischio. 
Le strategie pensate sono essenzialmente due. 
La prima riguarda il distanziamento fisico in classe e le misure di protezione, con tutta una serie di misure collaterali di carattere organizzativo. Il distanziamento tra le rime buccali, l’utilizzo (ancora da definire se obbligatorio o meno) delle mascherine e le norme igieniche, infatti, sono accompagnate da misure più di tipo organizzativo, quali la riduzione del numero degli studenti per aula (anche con l’identificazione di luoghi alternativi o la costruzione di spazi prefabbricati) e l’aumento del numero di insegnanti da mettere a disposizione anche con l’innesto dei cosiddetti insegnanti Covid (dizione direi non felice e sulla quale si dovrà tornare a parlare in futuro, anche in riferimento alla loro posizione lavorativa). 
La seconda strategia da adottare, di cui peraltro si legge proprio in queste ore sui quotidiani come anticipazione delle indicazioni contenute nel documento per la gestione dei casi e dei focolai negli istituti scolastici, concerne per l’appunto le misure/procedure di contenimento nel caso di positività da parte di alunne/i – studenti/esse o insegnanti (es: quarantena immediata di tutti i compagni e coloro che sono stati a contatto nelle ultime 48 ore ecc.). 
A mio modestissimo avviso, Onorevole Ministra, mi sembra che l’adozione di queste strategie ci metta nella condizione di inseguire il virus e non di anticiparlo, ossia ci porti a giocare sul terreno del virus, un terreno sul quale rischiamo di perdere. 
Se il virus Sars-Cov-2, come tutti i virus, ha una sua forma di intelligenza nel suo cercare di adattarsi e di sopravvivere nel sistema biologico cui chiede (pretende) di essere ospitato, noi abbiamo un’arma in più (che lui non ha), mediante la quale aumentiamo le possibilità di batterlo: l’immaginazione. 
Se non vogliamo tornare a confinare tutti a casa con la cosiddetta DaD (cosa che nessuno, Lei in primis, vuole) e temiamo le conseguenze del tutti dentro le mura scolastiche come terreno fertile per la diffusione ulteriore del virus, occorre trovare una terza via che garantisca al tempo stesso la riattivazione della scuola oltre il confinamento domestico e un aumento del potenziale di sicurezza che non può essere affidato all’opzione di chiudere immediatamente, anche parzialmente, dopo che qualcuno si è già contagiato (fatto questo che gli esperti mettono in conto, stante il rapporto numero studenti/docenti in luoghi chiusi). 
Per fare questo, occorre dunque dare spazio all’immaginazione e cambiare paradigma (per citare Ken Robinson). 
Tra tutti chiusi dentro casa con “l’odiatissima DaD” e tutti chiusi nelle aule scolastiche o in luoghi similari che svolgono la medesima funzione (peraltro prevalentemente con alunne/i-studentesse/i ferme/i al proprio posto per rispettare le distanze di sicurezza) penso che nel 2020 possiamo permetterci di immaginare un modo di fare didattica differente che salvaguardi l’idea di scuola come punto di riferimento indiscutibile, intenzionale e sistematico, per l’apprendimento formale. 
In altri termini, gentile Ministra, se non vogliamo richiudere dopo aver riaperto dobbiamo aprire in modo differente. 
In questo Paese abbiamo una tradizione pedagogica importante, frutto di elaborazioni e rielaborazioni delle teorie, dei modelli, delle metodiche che si sono sviluppate nel corso dei secoli (quantomeno negli ultimi duecento anni). 
Ritengo che possiamo fare affidamento ad alcune/i di esse/i rimodulandole/i e riconfigurandole/i per essere di aiuto e di supporto in questo momento storico di crisi. 
Penso, ad esempio, che possiamo far dialogare tra loro i principi dell’attivismo (con la sua didattica esperienziale), dell’apprendimento cooperativo (di matrice freinetiana o anglosassone), della matetica montessoriana, della didattica aperta, della metacognizione, delle intelligenze multiple, della didattica rovesciata, degli EAS (con il richiamo degli organizzatori Anticipati di Ausubel), della Philosophy for Children, dell’outdoor education e dell’e-learning. 
Potremmo ridefinire i tempi e gli spazi dell’apprendere a scuola, immaginandola come una scuola diffusa in tutti i luoghi e gli spazi della comunità (dando corpo finalmente a quell’idea/le di comunità educante che da tanti anni perseguiamo). 
Un esempio per andare sul concreto, che può andare bene dalla primaria alla secondaria di secondo grado (naturalmente con tutte le modulazioni del caso). 
Gli insegnanti formano piccoli gruppi (che Dario Ianes chiama cordate) di 5/6 alunni/e-studentesse/i. 
L’insegnante (o gli insegnanti, in ottica interdisciplinare), a distanza (in sincrono e in asincrono con l’utilizzo di piattaforme) fornisce/scono uno stimolo-compito agli allievi, i quali concordano con lei/lui/loro una agenda di lavoro e una previsione del percorso che intendono intraprendere (con tempi distesi, perché l’apprendimento non è un prodotto precotto che si consuma dopo una scaldatina nel microonde). Ciascun gruppo lavora in modo esperienziale, all’aperto, sul territorio, in spazi messi a disposizione dai municipi, incontrandosi, facendo ricerca, sperimentando, applicando, discutendo, organizzando i materiali (ovviamente sempre nel rispetto dei protocolli di sicurezza). In questa fase, soprattutto (ma non solo), per i più piccoli va previsto il supporto di una figura adulta, che può essere quella degli insegnanti aggiuntivi che si stanno reclutando, così come dei laureati e degli studenti nelle Graduatorie Provinciali (che lei ha fortemente voluto, resistendo a molte critiche, anche del sottoscritto) o degli stessi studenti tirocinanti che nell’ambito dei loro progetti di tirocinio, naturalmente supervisionati dai tutor scolastici e universitari, possono accompagnare/interloquire con gli/le alunni/e dei vari gruppi. Penso anche al prezioso supporto delle Associazioni degli insegnanti (MCE, CEMEA, CIDI, MEIC, PROTEO, MISOS, ecc…). Lo stesso vale per i gruppi dove è presente un/a alunno/a studente/essa con disabilità, con la presenza dell’insegnante specializzato o in specializzazione (potremmo avvalerci del loro periodo di tirocinio) e nel caso dalle altre figure di assistenza/supporto previste. 
I gruppi una volta completata l’attività, a turno, secondo quanto stabilito dal piano condiviso con l’insegnante o il gruppo di insegnanti, vanno a scuola e discutono con i loro mentori contenuti e procedure. Si tratta di un momento importante, anche per la verifica formativa, che deve sempre contemplare l’autovalutazione da parte di chi apprende. 
Quindi, ancora con la modalità a distanza, l’intero gruppo classe presenta e discute i diversi lavori svolti e si riparte (con una turnazione dei componenti dei gruppi, secondo le tante suggestioni che derivano, ad esempio ma non solo, dai modelli dell’apprendimento cooperativo). 
Per la scuola dell’infanzia la cosa è ancora più semplice, considerando che – se ci atteniamo a quanto suggeriscono le indicazioni nazionali per il curricolo e quanto previsto nei/dai campi di esperienza – questa è già la modalità con cui si dovrebbe attuare l’insegnamento-apprendimento. 
La mia è una suggestione, è chiaro. Un modo per reintrodurre nella discussione aspetti didattici che ora sembrano essere sovrastati da altre priorità, esemplificando qualcosa che potremmo fare senza peraltro neppure sperticarci più di tanto. 
Così come mi è altrettanto chiaro, non sono ingenuo, che questa proposta/suggestione sarà giudicata impraticabile: troppo utopica, troppe risorse, troppo poco tempo (anche per la formazione di chi la deve attuare). 
Sul fatto che sia utopica sono d’accordo, ma con una precisazione: utopia, come afferma Alberto Savinio nell’introduzione a una delle tante edizioni della Città del Sole di Campanella, è creazione di uomini (e noi aggiungiamo anche di donne) pratici/che, che guardano al presente, che adorano nel presente. E l’utopia è da sempre il primo motore del pensiero pedagogico. 
Sulle risorse credo che sia un falso problema: se stiamo reclutando un numero maggiore di docenti per ridurre i gruppi nelle aule vecchie e nuove, invece che mandarli nei prefabbricati o (come si è letto addirittura in strutture come i B&B) possiamo utilizzarli per accompagnare/supportare bambine/i, ragazze/i in questo nuovo modo di immaginare il tempo/spazio scolastico. 
Anche il poco tempo è un falso problema. Questa non è una gara a chi arriva primo. Possiamo tenere il 14 settembre come data simbolica e aprire a partire da questa un periodo di transizione, progettazione, organizzazione, discussione e quant’altro (ad esempio le questioni sindacali, assicurative ecc…) che consenta a ciascuna scuola (con tutta la comunità di riferimento) di dare vita a questa nuova modalità di immaginare e fare scuola. 
Se è vero come diciamo sempre tutti, che la scuola e l’istruzione dei/delle nostri/e figli/e è la cosa più importante di tutte (tanto da dover essere una ossessione) è venuto il momento di dimostrarlo, certamente con le risorse ma anche dandoci più tempo per non dover correre dietro al tempo (e al virus). 
Gentile Ministra, io sto parlando a titolo personale, ma sono sicuro che Lei e il Governo e le scuole troverà/ete/anno negli studiosi accademici italiani di pedagogia e di didattica, negli organi e nelle società scientifiche che li rappresentano (così come nelle associazioni degli insegnanti e dei dirigenti) una straordinaria disponibilità a fare fronte comune per trovare soluzioni innovative e dare un nuovo e differente impulso alla scuola italiana. 
Si tratta di cogliere una grande opportunità, che è anche, anzi soprattutto, rappresentata dalla fortuna di avere oggi un Ministro dell’istruzione giovane, donna e soprattutto insegnante (peraltro specializzata per le attività di sostegno e quindi esperta di processi inclusivi). 
Lei ha mostrato molta determinazione e molto coraggio in questi mesi. È il tratto che l’ha caratterizzata e che credo si possa collegare proprio al fatto che Lei è una donna di scuola. 
Ora si tratta di far sì che questo suo coraggio diventi patrimonio comune. Dobbiamo trovare tutti insieme il coraggio, come diceva Ivan Illich, di cercare (in una situazione di crisi) una via d’uscita diversa da quella in cui tutti si gettano a capofitto solo per il fatto che c’è scritto “uscita”. 
Dobbiamo darci il tempo necessario per vedere quali altre possibilità abbiamo. Il tempo c’è, mi creda. Anche le risorse e anche le volontà. Dobbiamo soltanto crederci. 

Grazie per la sua attenzione 

Un cordiale saluto 
fabio bocci