Associazione professionale Proteo Fare Sapere
18 ottobre 2024 Nazionale

Alla luce del DdL Valditara: alcuni punti-chiave per una formazione etico-civile democratica e inclusiva

di Franco Cambi, Università di Firenze
e Carmen Betti, Università di Firenze

  1. Il ddl Valditara

Si è parecchio discusso in queste ultime settimane del ddl presentato dal ministro dell’Istruzione e del Merito, Valditara, approvato dal Senato il 17 aprile e dalla Camera il 25 settembre u. s., che presto comparirà in G. U. Esso, com’è noto, è volto a dettare nuove misure per la valutazione del comportamento degli studenti e delle studentesse. La decisione non è in sé da respingere a priori, tenuto conto dei frequenti atti di bullismo che ricorrono fra gli studenti, dell’irriverenza crescente nei confronti degli insegnanti e delle autorità scolastiche, fenomeni che si verificano sempre più spesso anche fuori della scuola. Quello che è meno condivisibile è invece l’adozione di misure e risoluzioni di tipo prevalentemente punitivo-repressive presenti in quel ddl, come, ad esempio, la non ammissione, per le scuole secondarie di I e II grado, alla classe successiva in presenza di un cinque in condotta, oppure, in presenza di un sei, sempre in condotta, per la sola scuola secondaria di II grado, l’attribuzione di un debito scolastico in educazione civica da recuperare a settembre con un elaborato critico in materia di cittadinanza attiva e solidale, la cui eventuale valutazione negativa da parte del consiglio di classe, comporterà la non ammissione all’anno scolastico successivo. L’effetto di simili misure si traduce spesso in abbandoni, che il più delle volte riguardano chi di educazione e scuola ha più bisogno.

Non meno discutibile da un punto di vista pedagogico ci appare inoltre, in presenza di una sospensione superiore a due giorni, la scelta di disporre il recupero/ravvedimento mediante attività da svolgere presso “strutture convenzionate con le istituzioni scolastiche”, le quali attività, qualora vengano deliberate dal consiglio di classe, possono proseguire anche dopo il rientro in classe della studentessa o dello studente, secondo princìpi di temporaneità, gradualità e proporzionalità definiti dal consiglio di classe stesso. Tale misura, che si concreta nell’allontanamento/esclusione dello studente o studentessa, non favorisce l’affezione o la ri-affezione dell’interessato/a al proprio ambiente scolastico e al gruppo-classe.  Si assegna inoltre, in tal modo, un potere sanzionatorio al consiglio di classe, che sembra essere poco funzionale in relazione all’auspicata educazione alla democrazia della vita scolastica, che è sì fondata sul rispetto delle norme condivise, ma anche sulla sperimentazione di forme attive, inclusive e solidali di vita democratica. Con questo ddl, presto legge, si corre invece il rischio di potenziare il volto autoritario e sanzionatorio dell’istituzione svalutando, di fatto, la necessità/possibilità di adoperarsi attivamente a costruire relazioni educative dialogiche e democratiche.

Tuttavia, il ddl Valditara ci offre lo spunto per dar avvio e sollecitare una attenta riflessione e discussione sull’educazione civica e alla cittadinanza, di recente reintrodotta, in virtù della legge 92 del 20 agosto 2019, come disciplina che, pur  materia curricolare autonoma, si articola in modo trasversale, coinvolgendo più docenti, sia nel primo che nel secondo ciclo d’istruzione, con iniziative di sensibilizzazione alla “cittadinanza responsabile”, già a partire dalla scuola dell’infanzia. Riteniamo che un adeguato impegno nello svolgimento di tale insegnamento possa contribuire, se opportunamente impostato non tanto sulla base di lezioni/riflessioni teoriche ma in virtù di attività e occasioni concrete da realizzare e analizzare collegialmente, a stimolare un ravvedimento/rimodulazione dei comportamenti per così dire “devianti”.

2. Una riflessione su ieri e su oggi

Nelle società delle generazioni precedenti a quella attuale (i millennials) l’educazione etica e anche un po’ quella civile, era delegata alla famiglia e al suo contesto etico-sociale. È vero che a partire dal 1958, Aldo Moro, ministro della P.I., aveva saggiamente introdotto, in abbinamento con la storia, l’educazione civica nelle scuole, ma al suo esordio (e invero anche nel prosieguo) essa era stata erroneamente considerata una materia di seconda classe, tenuta in scarsa considerazione dai docenti stessi oltre che dagli studenti. Cosicché i veri protagonisti della formazione etico-sociale risultarono in sostanza i genitori, con il padre, figura più centrale per i maschi e la madre sì per entrambi i generi, ma soprattutto per le femmine. Spesso le madri si orientavano verso un’etica legata alla religione cattolica vissuta in parrocchia e nei suoi spazi formativi etico-sociali, anche se troppo spesso dominati da una morale del peccato. Altri spazi organizzati di formazione per i giovani erano pochi in alternativa alla chiesa: nelle sedi del PCI, piuttosto numerose, vi si svolgeva una formazione di tipo primariamente ideologico-politico mediante varie attività.

Capitava così, non di rado, che i ragazzi, soprattutto nei quartieri popolari, si ritrovassero di frequente nei cortili di casa o nelle limitrofe piazze, non invasi all’epoca dalle macchine, e che proprio lì, senza alcuna guida, avesse luogo la cosiddetta educazione civica, finendo per coltivare solo una libertà-di-strada confusa, tra partecipazione amicale, aggressività e pregiudizi vissuti come verità. Tutto ciò si è verificato dopo il 1945, per diversi decenni, i cui effetti negativi furono sollecitamente ben intuiti dai fondatori di “Scuola-Città Pestalozzi” a Firenze, nel quartiere di Santa Croce, sorta proprio nello spirito di offrire occasioni comunitarie e di autogoverno responsabilizzante ai ragazzi di quel martoriato e malfamato luogo, il cui futuro lavorativo e sociale era gravemente esposto ai rischi della micro-criminalità attiva in zona. “Scuola-Città Pestalozzi”, insieme al CEIS di Rimini e alla Scuola fondata da Olivetti a Ivrea, sono stati validi esempi di autentica educazione democratica e di prevenzione contro le devianze. Purtroppo il loro esempio non si diffuse né a livello di Enti Locali né a quello scolastico e così, su su, si è giunti agli anni Sessanta/Settanta, attraversati dagli effetti decontestualizzanti ma anche rigenerativi della Contestazione studentesca.

Dagli anni Novanta, dopo il decennio degli anni Ottanta contrassegnati dal ritorno al privato, l’impegno sociale e politico si è ulteriormente affievolito, anche per effetto delle crisi che hanno vissuto sia le fedi sia le ideologie, sostituite da un costume sempre più regolato dai mezzi di comunicazione di massa e dalla loro ideologia nascosta e potente che metteva (e mette tuttora) al centro i singoli individui e un loro stile di via basato su consumi e divertimento, aspetti che finiscono per  marginalizzare la formazione etico-civile, con l’esito di favorire lo sviluppo di soggetti sempre più egocentrici e tendenzialmente asociali, con poca etica personale e nessuna o quasi di tipo social-collettivo. E questa è oggi la condizione formativa prevalente dei giovani, aggravata dall’uso ossessivo dei cellulari e dei network, in realtà sempre più isolati in se stessi – si parla non a caso di singolarismo resi molto più fragili di un tempo e portatori di patologie psicologiche e sociali sempre più gravi, come le cronache dei giornali ci ricordano con decisione e ci richiamano a riflettere in modo critico e innovativo insieme. La riflessione pedagogica, unitamente alla scuola, non può perciò non valutare attentamente quanto ci sta accadendo intorno e farsi perciò carico di questa situazione, di questo compito veramente epocale che riguarda sia i singoli sia la comunità. In sostanza all’unisono, riflessione pedagogica o psico-pedagogica e scuola devono realizzare prospettive e interventi orientativi e inclusivi.

3. Il ruolo sempre più centrale della scuola

Ciò premesso, oggi più di ieri, occorre effettuare nella scuola un deciso cambio di rotta, inteso a interpretare e a rispondere ai nuovi comportamenti giovanili, muovendo dall’ambito dell’educazione civica e della cittadinanza ma non solo da quello. Una correzione di rotta veramente urgente e necessaria, capace di porla al centro della scuola e del suo agire etico-democratico, richiamandosi alla Costituzione da un lato e all’ habitat proprio della scuola stessa dall’altro. Quanto alla Costituzione, va meglio approfondita e studiata a scuola, organizzando incontri, sulla base di obiettivi scelti con i ragazzi stessi, con giuristi, magistrati, forze dell’ordine che possono offrire, da visuali ed esperienze diverse, riscontri concreti di quanto sta avvenendo intorno a noi. E, sulla base di tali incontri, si possono realizzare ricerche, approfondimenti, iniziative rivolte alla stessa comunità esterna alla scuola.

Occorre prevedere altresì la realizzazione di percorsi teorico-pratici di analisi e approfondimento della Carta Costituzionale, e di chi l’ha redatta, puntando, più che sull’organizzazione dello Stato, importante ma non cogente, sull’approfondimento delle “regole” stabilite per la salvaguardia della qualità della convivenza. In sintesi, sui valori sociali che la Carta promuove per tutti, ponendoli a cardine della cittadinanza: dall’Art. 3 a quelli sui principi fondamentali che vertono su diritti e doveri e che determinano un netto vivere democratico attivo e responsabile. Da affrontare, non solo ma anche con un loro studio specifico risalendo al dibattito che ci fu da parte dei Padri costituenti, per far cogliere il travaglio che ciascuno di quegli articoli ha comportato. Crediamo possa essere anche realizzato una sorta di  “percorso della Costituzione” all’interno della scuola, mediante la realizzazione di cartelloni murali o video relativi agli articoli fondamentali da esporre o proiettare negli spazi scolastici, indicandoli come regolativi per la comunità esterna alla scuola ma anche interna e nella scuola viverli in prima persona sotto la guida dei docenti: in particolare nella scuola secondaria superiore.

Al tempo stesso poi si rende utile analizzare criticamente, alla luce delle varie scienze umane (sociologia e psicologia in primis) i comportamenti sociali negativi spesso presenti nel mondo giovanile, quali rifiuto e persecuzione delle diversità, qualunque essi siano: atteggiamenti di bullismo, adesione a gang che deliberatamente vogliono punire o altre gang o i diversi, considerati come nemici per etnia, cultura, orientamento sessuale etc., agendo così sotto la spinta dei pregiudizi che proprio la scuola può decostruire come tali, presentandone sia la falsità teorica sia gli effetti distruttivi su soggetti e comunità, a cominciare da quella scolastica. Anche in questo caso sarebbe utile avvalersi di esperti, muovendo però da un lavoro di preparazione svolto dagli insegnanti al fine di dar luogo ad un effettivo coinvolgimento dei ragazzi. In breve, anziché affidarsi ad una esclusiva trattazione scientifica degli argomenti, occorre una preventiva problematizzazione delle tematiche, stimolando gli studenti a raccontare le loro esperienze, accendendo così un focus sulla realtà giovanile che è disomogenea e complessa come ogni fenomeno nel terzo millennio.

E tale processo di coscientizzazione deve cercare di includere tutti gli allievi perché per tutti è possibile scivolare nella devianza o in percorsi che si fanno strada diventando non controllabili. In sintesi, alle varie devianze la scuola deve applicare un contrasto ragionato e razionale, evitando di privilegiare le risposte prevalentemente emarginanti, in virtù di quelle esortativo-inclusive, tali da fare crescere a poco a poco una nuova coscienza, obiettivo che la scuola stessa deve mettere al centro della vita comunitaria, la quale potrà così farsi norma sociale collettiva. E permanere, si spera, come tale anche poi nel mondo adulto.

In un tempo che vede le giovani generazioni sempre più esposte alle derive più diverse e insidiose, mentre le famiglie, per ragioni molteplici – finanziarie, psicologiche, relazionali non riescono a contrapporre in molti casi le necessarie contromisure, la scuola non può non assumere questo ulteriore compito, se non come prioritario, certamente come fondamentale, per formare soggetti umani più uguali e razionali e cittadini ben orientati a vivere la democrazia, proprio come forma-di-vita-comunitaria-di-uguali. Un lavoro difficile e complesso ma che ogni scuola può fare con precisione e decisione, avendo le competenze e la capacità per farsi ascoltare dai giovani, assegnando anche all’educazione civica e alla cittadinanza il suo più vero e alto valore formativo sia personale che sociale.

4. Sì, ma quale scuola?

In sintesi, quello da far cogliere in ogni scuola, nei vissuti quotidiani e nei principi di vita comunitaria, è il ruolo-guida ed alto della Costituzione, come già detto, e poi, articolandosi come spazio-formativo dei giovani, tutelandone e l’acculturazione e la corretta socializzazione democratica, riorganizzandosi come luogo-della-formazione-umana-e-sociale-di-tutti in spazi con funzioni diverse e integrate tra loro (laboratori, biblioteca, spazi collettivi per conferenze, letture comuni, teatro, etc.) e sotto la guida di insegnanti sollecitati (tutti) ad essere di qualità sia comunicativa che didattica  e culturale attraverso corsi di formazione e riconoscendo a tale funzione sempre più decisiva, uno stipendio corrispondente alla delicata e fondamentale funzione svolta, assai più elevato di quello attuale, adeguandolo al più presto agli standard europei.

Oggi è più di sempre urgente il dar corpo a una scuola autenticamente democratica, su cui circolano da tempo studi rivolti alla sua riqualificazione (e qui ricordiamo quello che, a cura di Alessandro Mariani, vedrà la luce presso Carocci a breve e che, si crede e si spera, andrà seriamente discusso e recepito ed applicato!). Si tratta, infatti, di riconoscere e far percepire ai giovani che, se pur avvolti e travolti dalle notizie, spesso erronee o volutamente fuorvianti, la sensazione di conoscere molte cose e di tutto il mondo, è un fatto puramente illusorio. La decostruzione di tale effluvio di notizie è un altro delicato compito che spetta di fatto alla scuola, stimolando un atteggiamento costantemente critico e riflessivo, al fine di formare soggetti pensanti, prima ancora che colti e maturi, e poi professionisti di qualità, insieme a veri cittadini della democrazia avanzata che dobbiamo e non possiamo ignorare come nostro reale contesto, e di conseguenza condannando ogni mito nostalgico di ritorno en arrière, fino a quello esiziale del fascismo, condannato già negli stessi anni della Resistenza e che la stessa Costituzione dichiara assolutamente irredimibile.

Allora è a una scuola ben fatta cui dobbiamo delegare la formazione dei cittadini e proprio nell’iter complesso di tale processo, liberandolo sia da errori connessi ai pregiudizi sia favorendone uno sviluppo collettivo veramente democratico-vissuto-come-tale. E ciò, lo ribadiamo, sapendo anche che né le famiglie né le ideologie possono oggi esercitare questo ruolo sociale e democratico forte, in quanto coinvolte in una crisi profonda alimentata dal Neoliberismo economico e politico da un lato e dalla digitalizzazione dall’altro: eventi che stanno disorientando e “corrompendo” sempre più tutta e ad ogni livello, la vita della stessa democrazia avanzata e realmente vissuta, come voci autorevoli ci ricordano già da tempo.

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

M. Baldacci, La scuola al bivio. Mercato o democrazia?, Milano, FrancoAngeli, 2019.
C. Betti, Il contributo di Margherita Zoebeli e del CEIS allo sviluppo della pedagogia attivistica in Italia, in D. Caroli, T. Pironi, et alii (a cura di), Margherita Zoebeli, una vita per l’infanzia, Bologna, CLUEB, 2024, pp. 81-96.

F. Cambi, Scuola e cittadinanza. Per la formazione etico-politica dei giovani, Roma, Studium, 2021.

M. R. Di Santo, Al di là delle tecniche. La pratica educativa di Aldo Pettini, Milano Prometheus, 2015.

A. Mariani (a cura di), Manifesto per una scuola possibile: di uguaglianza, di qualità e di democrazia, Roma, Carocci, 2024.

L. Ambrosi, M. Angelini, A. Miccichè, A scuola di cittadinanza, editpress, Casemolino (TE), 2024.