È certamente necessario e opportuno per una Associazione professionale come la nostra sostenere il lavoro degli insegnanti in questa fase difficile e problematica.
Non solo esprimendo vicinanza, ma anche lanciando iniziative e fornendo stimoli e indicazioni operative potenzialmente efficaci. Per questo va salutata con interesse e partecipazione l’operazione Protocollo pedagogico lanciata da Proteo.
Un’operazione che in questo momento può apparire complicata, data la situazione di acuta emergenza sanitaria che stiamo vivendo, ma che è comunque importante, soprattutto per evitare che il discorso sanitario, pur imprescindibile, monopolizzi i ragionamenti sulla scuola e le sue specificità.
2. Il Documento del Consiglio di Presidenza dell’Associazione, offerto alla riflessione degli associati e aperto al contributo di quanti interessati, pur ruotando intorno alla proposta di costruire dal basso un Protocollo Pedagogico - inteso come insieme di prescrizioni operative di comportamenti ritenuti ottimali, funzionali a una relazione didattico-educativa connotata da un pensiero pedagogico forte - sembra collocare la proposta complessiva dentro un’operazione più generale che assume come idea fondamentale quella della riappropriazione. È questa almeno la lettura che tenderei a privilegiare del Documento.
Riappropriazione che si configura non come sguardo all’indietro, ma come "sfida culturale e pedagogica [volta] a ripensare e reinventare l’organizzazione, la didattica e le sue professioni.…".
E anche come espressione della consapevolezza che "per il prossimo decennio i cambiamenti, difficili e complessi, saranno possibili soltanto … scommettendo su una capacità coraggiosa di innovazione professionale e sindacale"¹.
Da ciò l’opportuno richiamo, nel Documento, ad "… alcuni elementi strutturali del funzionamento della scuola, quali orario di insegnamento e non insegnamento, funzioni strumentali, formazione iniziale e in servizio, struttura della retribuzione, organi di governo della scuola e del territorio", legati alle stagioni contrattuali della metà degli anni 90 e che hanno fatto il loro tempo e che richiedono quindi cambiamenti strutturali. I quali però assicurino prioritariamente la centralità del soggetto in formazione; e quindi
Tutte funzioni di una didattica ‘avanzata’, che sono anche nel DNA della nostra Associazione.
3. E il protocollo pedagogico che dà il titolo al documento?
Come si salda ai ragionamenti precedenti che pure sono punti fermi e qualificanti della proposta? Quali le perplessità e i dubbi?
Tra i primi dubbi metterei lo stesso termine ‘protocollo’. Il protocollo, come sottolinea anche lo stesso Documento, impegna, responsabilizza, obbliga al rispetto delle regole definite. Ma, già nel Documento, le categorie proprie del protocollo (impegno, obbligo, regole) si fanno rientrare nell’etica professionale. Con buona pace di ogni discorso sulla responsabilità soggettiva intesa come rispondere (render conto) dei risultati del proprio lavoro. Ragionamento che ripropone interrogativi di un certo peso con i quali non ci siamo mai confrontati fino in fondo. Proporlo poi per la dimensione pedagogica fa apparire il tutto ancora più problematico.
Ma c’è soprattutto la convinzione - che è un po’ alla base dei ragionamenti qui svolti e della proposta che ne consegue - che il terreno su cui si gioca, anche in futuro, la professionalità docente - e il suo 'peso' per rinnovare la scuola e garantire il necessario prestigio sociale ai suoi operatori - sia appunto la didattica come frutto di una cultura professionale riflessiva, alimentata sia dalla formazione sul campo sia da iniziative di ricerca-azione. Che - ovvio - non è assolutamente sottovalutazione della dimensione pedagogica, come si specificherà in seguito.
C’è poi anche una ragione contingente. In questi mesi di emergenza sanitaria siamo stati bombardati da una overdose di regole, decreti, protocolli che non riuscivano quasi mai a chiudere il cerchio. E il mondo della scuola ne è stata afflitta in modo particolare e continua a esserlo su diversi fronti.
Vogliamo veramente creare un protocollo anche per gli aspetti pedagogici dell’insegnare?
Non è più opportuno e appropriato - e qui riprendo l’accenno fatto poche righe sopra - parlare invece di cultura pedagogica, di sguardo pedagogico (espressione quest’ultima utilizzata dal Presidente Nazionale quando ha lanciato la proposta del Protocollo), quali ‘ingredienti’ fondamentali del fare scuola soprattutto oggi, data l’attuale situazione di disorientamento indotta dalla pandemia?
Sguardo pedagogico, per evidenziare e riportare in primo piano a. la dimensione educativa del fare scuola, b. la centralità del soggetto che apprende nella sua interezza, c. la curvatura dell’insegnamento sulla linea dell’apprendimento. E ciò allo scopo di tendere a sviluppare, degli allievi, potenzialità e competenze inespresse a cui la didattica, per come è stata qui riproposta sulla base delle indicazioni del Documento nazionale, dovrebbe tendere.
Cultura pedagogica, come padronanza di teorie e pratiche pedagogiche e di saperi di esperienza riconducibili alla dimensione pedagogica più coerente con la Scuola del ‘Non uno di meno’.
4. Ad ogni buon conto, quale che sia il cuore dell’impresa a cui si pensa (Protocollo pedagogico o riappropriazione di una didattica avanzata, come sopra ripresa rideclinata sulla base delle sollecitazioni del Documento), la dimensione organizzativa - il suo percorso e le sue tappe e gli esiti attesi - andrebbe forse riconsiderata e curata con forte attenzione.
Al riguardo, qui lancerei, con qualche integrazione, alcune idee che ho condiviso e apprezzato nel documento di Proteo Bergamo, che opportunamente mettono l’accento
Io aggiungerei di mio anche l’opportunità di prevedere un ruolo adeguato del CTS per la messa a punto di linee problematiche per i diversi momenti di approfondimento dei temi che prendono le mosse dal progetto di ripartenza. Quali che siano le parole chiave con cui titolarlo.