Vanessa insegna arts plastiques in un istituto di una cittadina della Francia.
Mi racconta che anche in Francia, nel quadro del contenimento dell’epidemia da Covid19, le scuole sono chiuse; anche qui i docenti sono impegnati nella didattica a distanza.
Vanessa insegna arts plastiques in un istituto di una cittadina della Francia.
Mi racconta – attraverso la plurima messaggistica oggi in uso, o per telefono o altro strumento di videocomunicazione e chat – che anche in Francia, nel quadro del contenimento dell’epidemia da Covid19, le scuole sono chiuse; anche qui i docenti sono impegnati nella didattica a distanza.
La nostra conversazione è dialogica, pur nei limiti della competenza linguistica di entrambe inerentemente alle due lingue madri (italiano e francese), sebbene spesso mi trovo a constatare “sapessi io il francese, come lei sa l’italiano”.
Comunque ci mettiamo in condizione di reciprocità, ascolto, curiosità; di volta in volta siamo emittente o destinatario di un messaggio, ci scambiamo e co-costruiamo informazioni e conoscenze e (almeno spero) senza alcuna pretesa di condivisione – forzata o subita – di significati, ma anche senza rigorismi e rigidità poiché, come meglio qualcuno ha spiegato, “parlare è scambiare, ed è cambiare scambiando”.
Ovviamente Vanessa più spesso racconta e, sollecitata da mie domande e “provocazioni”, aggiunge e colora con note e considerazioni.
Il dispositivo utilizzato per fare lezione a distanza è “ma classe à la maison”, una piattaforma del CNED (centro nazionale di insegnamento a distanza); attraverso esso i docenti di ogni ordine e grado di scuola mettono in linea lezioni predisposte ma “personalizzate”, “fatte proprie“, “implementate” da ogni scuola, nel quadro dei programmi ministeriali.
Ogni scuola può tuttavia utilizzare altri e alternativi strumenti e piattaforme gestite direttamente da docenti per realizzare lezioni, corsi, forum o mettere online i propri materiali.
I docenti della scuola in cui insegna Vanessa usano un programma che – prima utilizzato solo per inviare i risultati dei compiti (giudizio e nota) – consente oggi, attraverso un’apposita applicazione, di comunicare con gli studenti, con i genitori e tra professori.
Tale programma, aggiunge Vanessa, è utilizzato ovviamente ai fini dell’apprendimento di conoscenze disciplinari, per inviare /ricevere lezioni e compiti, ma anche (e uso le sue parole) “per mantenere il legame tra insegnante e studenti, insomma mantenere e rafforzare positive dinamiche relazionali e di gruppo”.
Vanessa mi spiega che arts plastiques non è semplicemente una disciplina, ma semmai una pluridisciplina perché ricorre a diversi modi e tecniche e campi d’indagine, da quelli più tradizionali e/o convenzionali, a quelli più recenti e innovativi (dalla pittura, al collage, alla ceramica... fino alla fotografia, al video, al computer, all’installazione) e, investendo tutti i 5 sensi, potenzia conoscenze e competenze mentre dà modo di esprimere emozioni e sentimenti.
E proprio nella prospettiva di vicinanza e supporto emozionale, Vanessa mi accenna, a grandi linee, di un percorso educativo/didattico, realizzato con i “suoi” alunni, che lei stessa ha voluto sperimentare con le sue bambine, Eleonora e Valentina. Mi manda alcune fotografie.
Vanessa, in prima battuta, invita gli alunni – comunicando di volta in volta gli appositi link – a visitare “virtualmente” musei e centri culturali; ogni visita diventa argomento di scambio e di confronto attraverso un’apposita griglia, “tarata” in ragione dell’età degli studenti e prerequisiti o della specificità dell’oggetto di analisi (dipinto, mosaico, incisione, fotografia...) e, dunque, strutturata con indicatori e descrittori o altre coordinate riconducibili a collocazione, artista/autore, contesto storico-culturale-artistico, genere artistico (di vita quotidiana e materiale, paesaggistico, mitologico, sacro, ritrattistica...), eventuale committenza, materiale utilizzato, tecnica compositiva e “valore espressivo”, dimensioni, funzione e fruibilità, relazione tra titolo e soggetto dell’opera... fino all’attestato di “bellezza” e non solo per armonia/equilibrio di forme e colori dell’opera, ma anche (o forse soprattutto) considerando gli aspetti emozionali.
Pur dinamico e per certi versi innovativo, non sempre il percorso così proposto – sottolinea Vanessa nel suo racconto – aggancia l’interesse degli alunni: anzi i più, quasi annoiati, rispondono aveuglément, interpretando i desideri e le aspettative della professoressa.
Intanto il rientro a scuola, come la ripresa di altre attività e servizi, viene prorogato.
Vanessa, raccordandosi con altri insegnanti e genitori, pensa a qualcosa di più “accattivante”.
Fermo restando l’obiettivo di far acquisire e consolidare progressivamente un metodo di analisi dell’opera d’arte (stile, caratteristiche specifiche, identità storica e valori espressivi...), viene proposto agli alunni di “giocare a (C)Arte” in famiglia o – utilizzando apposita piattaforma, mezzi e tecnologie – in gruppo con altri compagni.
In sostanza il gruppo familiare o di compagni riceverà virtualmente un mazzo di carte singolari: sono ritratti o autoritratti famosi, opere di altrettanti famosi artisti.
Ciascun giocatore avrà una carta, assegnatagli per sorteggio; ognuno dovrà ri-fare il ritratto, il più somigliante possibile, ma di sé stesso e utilizzando (rielaborando con una sorta di adattamento e accomodamento) oggetti e spazi di casa propria.
È consentito, se il gruppo di gioco condivide, scegliere un ritratto /autoritratto.
Al termine, ciascun studente dovrà documentare il risultato e/o anche le fasi, con video o fotografia e condividerlo con altri compagni, sempre attraverso la piattaforma o con i dovuti strumenti e tecnologie.
«D’altra parte – rileva Vanessa – il selfie non è forse la versione aggiornata dell’autoritratto? Indubbiamente gli smartphone, la webcam e poi i social network ne velocizzano la trasmissione o la fruizione».
Vanessa insiste con gli alunni: lavorare in gruppo e per quanto possibile fare insieme, supportarsi e scambiare idee, indicazioni, strategie, competenze.
Solo la “relazione” conclusiva dovrà essere svolta individualmente: una sorta di scheda tecnica, con dati essenziali, strutturata con domande o quesiti a risposta chiusa (vero/falso; oppure a scelta multipla, completamento di frase o di breve testo); ciascun studente aggiungerà annotazioni personali (min 50, max 100 parole).
A questo proposito – suggerisco – perché non promuovere un forum con gli studenti sul significato latente o esplicito del selfie? Forse è meglio un semplice brainstorming: chiedere agli studenti una personale interpretazione (egocentrismo, esibizionismo, narcisismo, desiderio di accreditarsi, trattenere/ricordare/comunicare un concetto, un’emozione, un momento singolare, un modo per guardarsi dentro, per guardare fuori...).
Evidentemente il “compito” comporta diverse fasi: minuziosa osservazione dell’opera, ricerca e selezione degli oggetti e spazi, scenografia, “trucco e parrucco”, strumento e tecnica di ripresa, montaggio... e condivisione.
Vanessa stessa si è messa in gioco (o ha trovato il pretesto per giocare): ha testato il percorso didattico con le sue bambine.
«Si sono divertite e tanto; anch’io!!!» mi comunica con enfasi e soddisfazione.
Il risultato è (a mio parere) stupefacente.
Gli studenti di Vanessa hanno un’età, dagli 11 ai 15 anni.
Vanessa ha elaborato il progetto per quell’età.
Ma, indubbiamente, è declinabile (adattabile) fin dai 5 -6 anni. Eleonora e Valentina hanno rispettivamente 8½ e 5 anni.
Il bambino e/o l’adolescente, attraverso questo modulo didattico, è sollecitato a ricercare strategie compositive e decorative, a ideare, combinare, manipolare cose, oggetti, smontarli, rimontarli; si misura con la sua immaginazione, con la sua inventiva, con il fare; si confronta con altri, coetanei e adulti; utilizza materiali diversi ed esperienze inconsuete per produrre rappresentazioni della realtà, degli stati d'animo, di un'idea; elabora ed interpreta emozioni e sentimenti.
Vanessa nel farsi del progetto rileva, attraverso discussioni e piccoli questionari, la partecipazione attiva e la soddisfazione delle attese da parte degli alunni, anche al fine di integrare e apportare significanti strategie e modalità didattico-espressive al complessivo progetto e piano di lavoro inerente les arts plastiques.
E mentre racconta, le balena in testa una possibile pubblicazione del lavoro degli alunni sul sito della scuola, una mostra virtuale con tanto di locandine informative.
Da tempo avrei voluto fare a Vanessa una domanda scottante, greve nel dibattito pedagogico di oggi, ma rinviavo... aspettando non so cosa.
E quel qualcosa non arrivava mai; dunque – solo pochi giorni fa – le ho chiesto, interrompendo la sua narrazione: «Non temi che la didattica a distanza possa sostituire la didattica in presenza?»
La sua risposta è stata immediata e in francese «Non, absolument pas... rien ne remplace un cours en présentiel!»
E aggiunge, poi in italiano, la scuola è troppo importante, è proprio il luogo dell’apprendimento e non solo rispetto a conoscenze /competenze disciplinari, ma è crescita complessiva della persona perché è un mondo pieno, stimolante di relazioni, di scambio... tutti i sensi connotano il clima relazionale, non affatto sostituibile da strumenti tecnologici, pur avanzatissimi. Questi vanno usati e pensati come strumenti, come occasioni di supporto o – come in questo caso di “confinamento” a casa – mezzo di vicinanza, per confinare (semmai) angosce, paure, senso di smarrimento..., per alleggerire la quotidianità anche con screzi , risatine, piccole trasgressioni rispetto a un compito assegnato dal docente o a una lezione frettolosa o noiosa nonostante le avanzate tecnologie.
Basta pensare che a scuola, sottolinea Vanessa, io mi relaziono contemporaneamente ma anche individualmente, con tutti gli studenti della classe o del laboratorio che sia e tutti loro con me; quel clima relazionale è fatto di odori, di sguardi, voci, suoni, rumori... di emozioni e sensazioni che le tecnologie non danno.
Con gli strumenti didattici, avanzati e ricchi di effetti speciali, né io né loro abbiamo “visione d’insieme” e la relazione è più che mai asimmetrica.
Però, è anche vero, che attraverso certi strumenti tecnologici ho potuto essere “accanto” ai miei alunni e, sempre attraverso essi, i miei alunni hanno potuto vedere e capire – e con piacere – argomenti culturali e artistici non sempre facilmente raggiungibili e fruibili.
Che dire, sono d’accordo, pienamente d’accordo.
E ancora ascolto, mi piace ascoltare e inferire impegno, passione professionale; riguardo più volte quelle foto: gran bel lavoro Vanessa, bellissime quelle due bimbe. Dunque, come un’alunna attenta e motivata da tanti spunti e ammiccamenti, “abbocco” e mi metto al lavoro ed elaboro un video (in allegato).
Insomma faccio i compiti... o come direbbe Eleonora i “doveri”: perché così si chiamano in Francia.
Tempi lunghissimi, operazioni complicate e complesse; totale immersione per scegliere, ritagliare, rifinire, soprapporre, dissolvere, sfumare, trascinare, raccordare, spezzare, ri-inquadrare, dinamizzare, sonorizzare, “convertire”, aggiungere, sottrarre, cancellare/modificare parti, posizionare, sequenziare e rallentingare (non so neppure se esistono questi verbi: se no... ben vengano – supportano il concetto – i neologismi)... immagini ipg, gif, png e foto o piccoli video al fine di un editing con una struttura narrativa (con tanto di prologo, svolgimento ed epilogo o forse no).
Insomma un’altalena di operazioni “tecniche”e stili.
Dopotutto la motivazione non è piccola cosa: non solo per la mia esperienza – per me rilevante – nella scuola[1], ma anche per Eleonora e Valentina, le mie nipotine, due tra i miei amori più grandi.
Patrizia Costanzo
[1] maestra nella scuola elementare, docente di lettere scuola secondaria 2° grado, dirigente scolastica in scuola secondaria 1° e 2° grado.