Oggi 7 luglio il Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha presentato gli esiti della ricerca riguardante “I servizi educativi per l’infanzia, ripresa e sviluppi dopo la pandemia”, condotta da Istat e Università di Ca’ Foscari.
Gli interventi si sono concentrati sull’esito di due indagini: quella annuale dell’Istat sui comuni italiani, volta a monitorare nel tempo l’evoluzione dei servizi all’infanzia, relativamente ai dati dell’anno educativo 2019-2020 e quella campionaria, suppletiva, realizzata nel periodo aprile 2021 – maggio 2021 finalizzata a conoscere tempestivamente le difficoltà incontrate dai servizi all’infanzia in relazione alla pandemia.
La rilevazione dell’Istat sui nidi e i servizi integrativi per la prima infanzia delinea al 31 dicembre 2019 la presenza di 13.834 servizi educativi attivi sul territorio nazionale, il 65% dei quali nel settore privato e il restante 35% nel settore pubblico(comune).
I posti autorizzati al funzionamento sono 361.318 (circa la metà nel settore pubblico). I posti disponibili nei servizi per la prima infanzia raggiungono il 26,9% del potenziale bacino di utenza e quindi al di sotto dell’obiettivo fissato dal Consiglio europeo di Barcellona nel 2002: un posto per almeno il 33% dei bambini entro il 2010. I dati registrano un consolidamento estensivo al nord-nordest, il consolidamento di posti all’ovest ed il permanere di ampi divari territoriali: si va dal 3,1% della Calabria al 30,4% della Provincia Autonoma di Trento, anche se al Sud, dove i posti disponibili sono pari al 14,5% del bacino di utenza potenziale, si registra un incremento (+ 6,3%) negli ultimi anni. Segno, questo, che conferma l’esito positivo dell’investimento dei fondi del PAC (piano azione coesione) varato nel 2012 dal Ministro Barca per ridurre il divario nelle quattro regioni comprese nell’obiettivo europeo “Convergenza”: Puglia, Campania, Sicilia, Calabria.
L’Indagine campionaria realizzata con l’Università Ca’ Foscari nei mesi di aprile–maggio 2021 su 1.418 servizi (1.036 asili nido e 382 sezioni primavera), sia pubblici che privati, rileva che di fronte a un aumento sia dei costi di gestione (93,2% dei casi) sia dei costi straordinari (95%), poco più del 50% delle strutture hanno ricevuto contributi straordinari mentre circa il 59% ha attivato ammortizzatori sociali come la Cassa Integrazione o il FIS (Fondo d’Integrazione Salariale).
Nel 50% delle strutture campionarie si è verificato almeno un caso Covid (fra bambini oppure operatori), il 27,5% ha disposto la chiusura di una sola sezione e meno del 12% la chiusura totale del servizio, il restante 10% presumibilmente ha interrotto la frequenza solo per le “bolle” (piccoli gruppi di bambini) all’interno delle quali si sono verificati “casi Covid” garantendo la continuità del servizio.
L’indagine evidenzia che “le strutture” hanno dimostrato una buona capacità di adattamento alla situazione straordinaria, modificando orari di entrata e uscita, riorganizzando gli spazi, formando/informando il personale in relazione alla pandemia, in pochi casi – al sud – interrompendo il servizio mensa e intensificando la cura del rapporto con le famiglie. A fronte di quanto sopra scritto, l’indagine evidenzia, tuttavia, criticità alla riapertura, soprattutto relative allo stress nel gestire la situazione da parte di operatori e genitori. A tal proposito viene sottolineato come gli educatori abbiano lamentato solitudine nell’affrontare la situazione educativa “nella bolla” e solitudine nel rapporto con i genitori i quali, a loro volta, lamentavano solitudine nell’affrontare la pandemia.
Un dato che i ricercatori hanno evidenziato, impegnandosi ad analizzarlo più nei dettagli motivazionali, è dato dal calo di iscrizioni ai servizi educativi (nidi e sezioni primavera) segnalato dal 39% delle strutture per l’anno educativo 2020/2021 rispetto al precedente e, al momento della rilevazione, il 70% delle strutture non ha bambini in lista d’attesa. I dati dell’indagine campionaria rilevano che il tasso di occupazione dei posti autorizzati (rapporto tra numero di iscritti e posti autorizzati) è mediamente dell’80%, indicando che molti servizi hanno posti vuoti e non hanno domande da soddisfare: le cause sembrano attribuibili alla contrazione dei redditi delle famiglie, alla perdita del lavoro e al timore dei genitori di utilizzare un servizio collettivo in tempo di pandemia.
Cosa insegna questa indagine e quali impegni il Governo sta assumendo?
I ricercatori di Cà Foscari, in conclusione della loro indagine, hanno messo in evidenza come la stessa riveli che la formazione degli educatori rappresenti il vero presidio contro la solitudine e come, nell’affrontare la pandemia, i servizi educativi pubblici abbiano sofferto in quantità minore. Hanno anche rilevato che il sud ha reagito evidenziando qualche criticità in più rispetto al nord ma in maniera molto contenuta e che, proprio dal sud arrivi la richiesta di pensare a nuove tipologie di servizi educativi. Infine tutti i gestori pubblici e privati chiedono – anche a fronte della forte denatalità vigente – di investire molto sulla gestione facilitando l’accessibilità ed orientare le risorse verso la ristrutturazione di edifici scolastici già esistenti prevedendo spazi verdi pertinenti.
Ilaria Antonini – Dirigente del Dipartimento per la famiglia – ha spiegato come i dati dell’indagine, oltre che informare il dibattito pubblico, siano stati utilizzati per la formulazione del PNRR per costruire la misura del valore complessivo di 4,6 miliardi di euro dedicata all’infanzia e, nello specifico, a due azioni: rafforzamento dell’offerta e rendimento dell’accessibilità. Azioni che trovano complementarietà in altre contenute nel V° PIANO per l’infanzia e l’adolescenza, varato dall’Osservatorio Nazionale a maggio 2021 e in attesa di affrontare l’iter – piuttosto lungo per la verità- per essere definitivamente approvato e sancito in un DPR dedicato.
Tutto a posto dunque? Le risorse ci sono, gli obiettivi pure…
Il primo elemento che ci deve interrogare è dato dal fatto che, trattandosi di servizi educativi compresi nello “zerosei”, dovrebbero, stando al Decreto Legislativo 65/17 e alla governance prevista, vedere “in azione” anche il Ministero dell’Istruzione dal quale, invece, dopo la scomparsa di Giancarlo Cerini – coordinatore della Commissione per le Linee pedagogiche per lo sviluppo del sistema integrato zerosei –, arriva solo un silenzio assordante. E questo non è certamente un buon segno.
Altro elemento, in drammatica coerenza con il primo, purtroppo, è la registrazione del fatto che a settembre 2021, cioè tra 60 giorni circa, inizierà un nuovo anno educativo scolastico e per lo zerosei, all’orizzonte, nulla di nuovo. Al momento neanche dichiarazioni.
Giovanna Zunino
7 luglio 2021
La registrazione dell’incontro è disponibile al seguente link
https://www.youtube.com/watch?v=Kxjgh2iNCTQ