di Dario Missaglia, presidente nazionale Proteo Fare Sapere
Ogni tanto il Ministro Valditara riesce persino ad essere chiaro: la sua retorica in cui incrocia concetti nebulosi e controversi di improvviso si illumina e ci restituisce chiarezza. Ce n’era bisogno perché sull’ultima novità introdotta per decreto, il tutor (e la più nota figura dell’orientatore), sembrava proprio difficile venirne a capo. In molteplici messaggi ed interventi, il Ministro ha vistosamente ondeggiato tra posizioni contraddittorie presentando il tutor ora come docente che si prende cura dei ragazzi più fragili, ora come docente che deve individuare e coltivare i talenti. E così, mentre i sindacati dovevano fare i conti con una nuova invenzione tutta da rendere operativa (quantità e distribuzione dei docenti, formazione, relazione con il Collegio, retribuzione, ecc.) era proprio il senso dell’operazione a non essere chiaro.
Ogni dubbio è stato fugato dal Ministro in persona in un articolo affidato alle colonne del quotidiano “Libero” il 23 aprile. Un vero e proprio editoriale in cui il Ministro, con cipiglio da storico di fama, proclama che “la fuoruscita dalla cultura (e dalla scuola) del ’68 è un passaggio necessario per la crescita civile, morale ed economica del Paese”. Questa sentenza è sufficiente per comprendere l’armamentario ideologico che sottende la tesi di cui sopra, illuminata dai tre “dogmi nefasti” del ‘68: la fine dell’Autorità, l’Egualitarismo ad oltranza, la teoria della Liberazione.
Con ciò il manifesto del tutor è ben chiaro e fugherà le incertezze di quanti erano rimasti dubbiosi: serve un’operazione forte per superare questa insopportabile ambizione di voler portare tutti all’esito più alto. La scuola deve fare altro, secondo la nota teoria della personalizzazione: adattare i programmi alla previsione di successo di chi ha talento e conseguentemente, abbassare le attese di chi ha qualche difficoltà a tenere il passo. L’idea di partire dai ragazzi per come sono e differenziare percorsi e metodologie affinché ciascuno possa raggiungere gli esiti migliori, è una vecchia ossessione sessantottina e soprattutto non è compatibile con la scuola del merito. Meglio un’assistenza pelosa e caritatevole fatta di dispense e confinamento in una delle tante categorie da proteggere, da ultimo “i fragili”. Non sono loro il senso della scuola ma vi possono rimanere, con abbondanza di organici di supporto. Non è dagli “ultimi” che nasce il senso della scuola del Merito.
Il senso della scuola ce lo comunica chi ha premiato con 100 euro i bravi studenti promossi con la media del 9. Sono studenti di successo, studenti che si sono battuti per la media dei voti. Sono i “meritevoli”, secondo il Ministro, della scuola made in Italy, della competizione vincente. E dovrebbero accorgersene anche quei dirigenti rimasti un po’ sopresi da tanto clamore. Certo, è vero, borse o assegni di studio per studenti particolarmente impegnati nello studio, ci sono sempre stati, senza clamori e polemiche. Le borse di studio in fondo sono soldi, dov’è la differenza? È nel contesto e nelle parole pronunciate, cari dirigenti. E il contesto conta e non va mai ignorato. “Non si può insegnare senza sapere dove va la società”, ha scritto Dewey e non si riferiva solo ai docenti.
Il contesto è un modello sociale che spinge alla competizione ad ogni costo e in ogni ambito. Chi non ce la fa scivola nell’anonimato, nella solitudine, nell’annullamento sociale. Una pressione psicologica potente che pesa sui ragazzi, sulle loro ansie, sulla propria autostima. “Credo che mai come in questo momento sia doveroso contrastare il senso comune che purtroppo va in questa direzione e avere il coraggio di ribadire che siamo totalmente contro la tirannia del merito perché solo così si può combattere l'inasprimento delle disuguaglianze nella scuola, nel lavoro e nella società.” Così ha scritto il Presidente di Proteo Veneto, Alvisa Scarpa, lanciando un messaggio ben preciso subito dopo i fatti di Padova.
È la scuola nel suo insieme che dovrebbe cambiare per affrontare una società così complessa, rimettendo in discussione organizzazione, tempi, contenuti e modalità di insegnamento. Proteo ed Flc lo sostengono con forza ed ora anche tutto l’associazionismo professionale della scuola preme per aprire una nuova fase ben diversa da quella agognata dal Ministro.
Operazione da “cattivi maestri”, secondo Valditara. Meglio un po’ di tutor in più e lasciare che la scuola resti così com’è, senza l’ansia di essere per tutti e di tutti.
Ora dunque i Collegi docenti hanno chiara la situazione: a loro decidere che il tutor si metta al servizio della comunità scolastica contro i rischi di emarginazione, contro le diseguaglianze, al servizio di una discriminazione positiva per aprire opportunità per tutti. A loro decidere che non esistono linee guida ministeriali in grado di comprimere quella autonomia didattica ed organizzativa che appartiene loro e che deve nascere dalla progettualità che la scuola saprà esprimere. Una scuola che deciderà non di delegare ad alcune missioni sbagliate ma di utilizzare queste nuove risorse per potenziare il proprio progetto sul cambiamento possibile nella loro scuola. Perché l’inclusione non sia solo un manifesto dei sogni.
Tutto ciò potranno liberamente decidere contestando nei contenuti un tutor al servizio della scuola delle élite, della scuola del Merito, di un Ministro che non a caso non dice una parola sull’eredità di don Milani. Eredità sessantottina, ovviamente. Pazienza dunque se qualcuno additerà gli irriducibili del cambiamento come “cattivi maestri”: è solo parola di Ministro del Merito.
Dario Missaglia