DISPERSIONE SCOLASTICA: UN FENOMENO DA PREVENIRE E CONTRASTARE
– di Gennaro Lopez, CTS Proteo Fare Sapere
29 agosto 2022
Premessa
Ha assunto da qualche tempo particolare rilievo e vivacità il dibattito intorno al tema della “dispersione scolastica”, verosimilmente per effetto del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) che, nell’ambito della Missione 5 (“Inclusione e coesione”) prevede “interventi speciali per la coesione territoriale” anche in funzione del contrasto, appunto, alla dispersione scolastica. Il “territorio” rappresenta, dunque, il terreno privilegiato su cui si intende combattere questo fenomeno: scelta quanto mai opportuna, ma meritevole di precisazioni e adeguati approfondimenti.
Come è noto, il fenomeno va analizzato sia dal punto di vista del soggetto che “si disperde” sia da quello relativo al sistema che “produce dispersione”: questo secondo punto di vista diventa preponderante quando l’attenzione prevalente viene destinata al territorio, laddove sono da prendere in considerazione le caratteristiche socio-economiche e istituzionali in cui sono immersi i singoli percorsi biografici. La domanda alla quale si cerca di dare una risposta con le considerazioni che seguono è questa: si può individuare un soggetto pubblico che, rispetto al territorio, sia in grado di promuovere e coordinare le attività (tipicamente di ricerca-azione) necessarie a combattere efficacemente un fenomeno complesso e multifattoriale qual è la dispersione scolastica?
Dimensioni del fenomeno
Qualsiasi ragionamento di merito non può prescindere da una valutazione dei dati che, pur noti, vengono qui richiamati in quanto fondamento su cui costruire analisi ed eventuali proposte. Le fonti utilizzate sono tre: Miur, ISTAT e INVALSI. Parte significativa della dispersione va messa in relazione con l’abbandono. Le ultime rilevazioni disponibili (2021), segnalano che la percentuale di abbandono complessivo, per la scuola secondaria di I grado, è stata dello 0,64% (pari a 10.938 alunni) e per la scuola secondaria di II grado del 3,79% (pari a 98.787 alunni). In totale, dunque, sono circa 110.000 gli alunni che abbandonano annualmente la scuola dell’obbligo, oltre a quelli che si perdono nel passaggio dal primo al secondo ciclo (0,32%). Quanto alla distribuzione territoriale, la maggiore propensione all’abbandono scolastico è riscontrata nelle aree più disagiate del Paese.
Bisogna, comunque, considerare che in Europa, il fenomeno è misurato dalla quota di 18-24enni che possiede al più un titolo secondario inferiore ed è fuori dal sistema di istruzione e formazione (Early Leavers from Education and Training, ELET), uno dei benchmark della Strategia Europa2020, con un target europeo fissato al 10%, ridotto ora al 9% entro il 2030. In Italia, nel 2020 la quota di ELET è stimata al 13,1%, pari a 543 mila giovani, in leggero calo rispetto all’anno precedente. Nonostante l’Italia abbia registrato notevoli progressi sul fronte degli abbandoni scolastici, la quota di ELET resta tra le più alte dell’Ue. Nel 2020 l’abbandono degli studi prima del completamento del sistema secondario superiore o della formazione professionale è stato del 16,3% nel Mezzogiorno, 11,0% nel Nord e 11,5% nel Centro. Gli squilibri regionali appaiono marcati: diverse regioni hanno valori inferiori al 10% mentre Sicilia, Campania, Calabria e Puglia hanno le maggiori incidenze di abbandoni (19,4%, 17,3%, 16,6% e 15,6% rispettivamente). Tra i giovani con cittadinanza non italiana, il tasso di abbandono precoce degli studi è oltre tre volte superiore a quello degli italiani: 35,4% contro 11,0%.
Un ulteriore elemento rilevante nell’analisi della dispersione scolastica è l’età degli alunni/studenti. Dai dati emerge infatti che il ritardo scolastico, per bocciature o altre cause, molto spesso si rivela come un fattore che precede l’abbandono. Per la scuola superiore, infine, il fenomeno si differenzia tra i vari percorsi di studio. Il tasso di dispersione scolastica più contenuto si registra nei licei (1,8%), seguiti dagli istituti tecnici (4,3%) e dagli istituti professionali (7,7%).
C’è, tuttavia, un altro elemento da considerare, la cosiddetta “dispersione implicita”. Ci sono infatti anche alunni/studenti che vanno a scuola, ma imparano poco, oppure imparano male o in modo irregolare. Anche se questi giovani non fanno numero nelle principali statistiche sulla dispersione scolastica esplicita, possiamo in un certo senso includerli tra i “dispersi”. Anche quando riescono a ottenere un titolo di studio, infatti, questi giovani si trovano ad affrontare la vita adulta senza avere le competenze minime necessarie per esercitare la cittadinanza attiva, proseguire gli studi o intraprendere un percorso professionale. L’INVALSI (l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione), a partire dal 2019, ha provato a misurare il numero di studenti che terminano il percorso scolastico senza aver acquisito le competenze fondamentali. I risultati delle prove INVALSI possono essere letti come indicatori della portata del fenomeno: nell’anno scolastico 2020-2021 la dispersione scolastica implicita ha riguardato il 9,5% dei giovani tra i 18 e i 24 anni, in peggioramento rispetto all’anno precedente (8,6%).
Si stima che la dispersione scolastica totale, implicita ed esplicita, superi il 20% a livello nazionale e che il 14,4% degli allievi esca dalla terza media con livelli di competenze inadeguati in matematica, italiano e inglese. Il problema riguarda, quindi, uno studente su cinque. In tutte le competenze testate da INVALSI emerge che il punteggio cresce al crescere dello status sociale, con scarti maggiori tra i punteggi bassi e medio-bassi rispetto a quelli alti. Ciò significa che il territorio di appartenenza conta, ma conta anche l’ambiente sociale, economico e culturale di provenienza. La dispersione scolastica non può, dunque, non essere interpretata come uno degli esiti delle disuguaglianze sociali; essa va direttamente collegata anche con il fenomeno dei NEET (Not employement education training), ovvero dei giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non sono inseriti in un percorso di istruzione o di formazione.
I dati, in conclusione, ci dicono che la dispersione scolastica rappresenta un indicatore pesante di criticità sociale, che vede le disuguaglianze crescere incontrastate, con carenze delle varie istituzioni, per cui chi parte da condizioni di svantaggio, di qualunque tipo, ha sempre meno possibilità di riuscita. Fin qui non sono state date risposte strutturali e sono mancate politiche adeguate. È mancata una regia a livello dei territori e, ad aggravare ulteriormente il quadro, la pandemia è intervenuta accrescendo le sperequazioni, isolando ed escludendo.
Prevenzione della dispersione e orientamento continuo
Una efficace e lungimirante strategia dovrebbe poter evitare, per quanto possibile, che la dispersione scolastica diventi un’emergenza (quale attualmente è di fatto). Occorrerebbe, cioè, dare lo spazio necessario alla prevenzione del fenomeno, ora decisamente trascurata. A questo proposito, vanno messe in primo piano le iniziative di orientamento. Ma su questo occorre intendersi: di quale orientamento parliamo?
L’UE ci indica la strada, con almeno un paio di Risoluzioni (del 2004 e del 2008) che sottolineano la necessità di implementare i servizi di orientamento lungo tutto l’arco della vita, al fine di fornire alle persone le capacità per gestire i propri percorsi formativi e professionali e i relativi momenti di transizione. Gli Stati membri hanno ritenuto opportuno fondare la rete ELGPN (European Lifelong Guidance Policy Network), la quale ha contribuito a promuovere servizi di orientamento “congiunti”. La strategia “Europa 2020” indicava tra i propri obiettivi la riduzione dell’abbandono scolastico al 10%. Ma già molto significativa era stata la Risoluzione del Consiglio Europeo su “Integrare maggiormente l’orientamento permanente nelle strategie di apprendimento permanente”, del 21 novembre 2008. Ed è doveroso fare riferimento anche al CCNL Comparto Istruzione 2016-2018, che al c.3 dell’art.28 (attività dei docenti), nel fornire una specificazione del “potenziamento dell’offerta formativa”, precisa che questo comprende le attività di istruzione, orientamento, inclusione scolastica e diritto allo studio. Pertanto, nelle istituzioni scolastiche, sarebbe utile concepire le ore di orientamento come attività per ri-orientare costantemente alunni e studenti che presentino, nel corso dell’anno scolastico, inediti e imprevisti bisogni formativi. L’orientamento diventa, in questo senso, la modalità operativa sistematica per ravvivare la motivazione ad apprendere, liberando attitudini e propensioni non di rado ostaggio di prassi didattiche refrattarie ad un ascolto attivo. Naturalmente, senza trascurare le fasi di passaggio da un ciclo all’altro: una particolare attenzione merita, ad esempio, il passaggio dalla secondaria di secondo grado a quella di primo.
Va da sé che un orientamento così concepito e strutturato in “sportelli d’ascolto” permanenti che ne recuperino tutto il potenziale pedagogico, non può essere ingabbiato esclusivamente in momenti iniziali o finali dell’anno scolastico, intesi magari come meri adempimenti burocratico-amministrativi. Una tale prassi, purtroppo diffusa, rischia di trasformarsi nell’anticamera dell’insuccesso formativo e della dispersione scolastica. C’è, dunque, anche un problema che attiene alla formazione dei docenti e alla necessità che essa assuma il tema della dispersione come prioritario, facendone oggetto di adeguate attività di ricerca-azione. Molto, inoltre, risiede in una corretta interpretazione dell’autonomia scolastica, tale da consentire un’effettiva ed efficace risposta agli specifici bisogni formativi di ciascuna scuola e di ogni alunno/studente, puntando a ridurre le ripetenze e garantendo comunque in ogni scuola, pur in presenza di eventuali “bocciature”, percorsi personalizzati di seconda opportunità.
È stato anche sottolineato, da più parti, il ruolo fondamentale di un precoce inserimento nel percorso educativo, fin dalla prima infanzia, proprio per contenere il fenomeno della dispersione scolastica. L’inserimento dei bambini di 0-2 anni nelle strutture per la primissima infanzia risulta al momento inferiore all’obiettivo europeo di almeno 1 bambino su 3. È auspicabile che il PNRR contribuisca ad incrementare efficacemente la disponibilità di strutture, al fine di superare gli attuali ritardi e le forti disomogeneità territoriali.
Contrasto alla dispersione e apprendimento continuo
Il riconoscimento dell’orientamento permanente come dimensione fondamentale dell’apprendimento continuo, secondo quanto invita a fare l’UE, suggerisce di inserire proprio in questo alveo le strategie di recupero formativo destinate sia agli ELET sia ai NEET, affermando il principio che il successo formativo non coincide più col successo scolastico, anche se naturalmente lo comprende. Gli attuali assetti istituzionali e organizzativi del sistema nazionale di istruzione e formazione portano ad individuare nei Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti (CPIA) i soggetti chiamati a sviluppare, sui territori, tali strategie. Tuttavia, alla luce di quanto fin qui esposto, va subito chiarito che una tale “missione” affidata ai CPIA (che, peraltro, già oggi sono impegnati in questa direzione, sia pure con azioni necessariamente limitate), richiede interventi sostanziali e di sistema. Ed è il caso di parlare anche di adeguati investimenti (in risorse umane e materiali), che consentano di sostenere anche iniziative inedite, in grado di promuovere partenariati strategici con le altre agenzie formative per ideare e promuovere progetti integrati di istruzione e formazione che si configurino come il risultato di una lettura meticolosa dei fabbisogni formativi del territorio di riferimento. I “patti educativi territoriali” (o “di comunità”), se non vogliamo ridurli a formula retorica, devono essere costruiti su solide basi scientifiche, proprio quelle che un CPIA, istituzionalmente votato anche ad attività di ricerca, sperimentazione e sviluppo, dovrebbe essere in grado di garantire. Ma, per raggiungere un simile obiettivo, è necessario che sia la “comunità educante” sia la “comunità scientifica” prendano atto che attraverso la realizzazione di adeguate “misure di sistema”, il CPIA può contribuire in maniera significativa a rendere effettivo, strutturale e di massa l’apprendimento continuo, mirando, tra l’altro, al raggiungimento degli obiettivi principali previsti dalla Strategia Europa 2020, basati, com’è noto, sull’educazione/istruzione per tutti e per tutto l’arco della vita (lifelong learning). Insomma, bisognerebbe poter disegnare un futuro per i CPIA, con un orizzonte ben più ampio e impegnativo della mera “istruzione degli adulti”. Avremmo, cioè, bisogno di “Centri territoriali per l’apprendimento permanente”, dotati di risorse e strumenti necessari a gestire un servizio destinato in modo permanente alla totalità dei cittadini, a prescindere dalla loro età anagrafica.
Questa prospettiva (oggettivamente non immediata) potrebbe essere anticipata da decisioni politiche attuabili nel breve termine. Per esempio, si potrebbe estendere ai CPIA la possibilità di erogare in via ordinaria anche percorsi pre-professionalizzanti e professionalizzanti. Finora la possibilità di attivare percorsi professionali, anche brevi, è rimessa ad uno specifico accordo tra ciascuna Regione ed il corrispondente Ufficio scolastico regionale (USR). Se invece ciò fosse consentito alla diretta iniziativa dei CPIA, nell’ambito dell’autonomia scolastica, ELET e NEET sarebbero più facilmente intercettabili e i CPIA avrebbero la possibilità di fornire, accanto alle competenze di base, anche competenze più avanzate, fondamentali per dare ulteriori opportunità orientative ai minori stranieri non accompagnati che già frequentano i CPIA. Ciò potrebbe avvenire anche attraverso accordi tra CPIA, enti erogatori di formazione professionale e servizi per il lavoro, con la possibilità di realizzare percorsi integrati, finalizzati all’acquisizione di competenze professionali e al conseguimento di titoli regionali di qualifica/diploma che possono consentire sia un inserimento nel mondo del lavoro, sia la possibilità di prosecuzione degli studi a livello terziario professionalizzante (ITS), con particolare riguardo ai giovani fuoriusciti dal sistema di istruzione.
… Perché l’umana sete di sapere richiede fonti inesauribili.
LA SCUOLA DISPERSA
– di Tiziano Pera, presidente dell’associazione “Il Baobab, l’albero della ricerca” e direttore della rivista “Scuola Maestra”.
4 agosto 2022
Dispersione? Chi può essere considerato “disperso”?
Disperso è qualcuno che lascia di sé solo una disseminazione di tracce tanto confusa e indefinita da impedirne l’individuazione e il riconoscimento. Disperso è chi si è perso involontariamente o chi non vuole farsi trovare in modo del tutto consapevole. Disperso è chi si è smarrito e noi giudichiamo irrimediabilmente scomparso, dunque perduto.
[...] Come si fa a parlare allora di “dispersione” riferendosi agli studenti, bambini o giovani ragazzini che siano? Come si può pensare che la scuola possa essere affetta da “dispersione” quando il suo compito principale dovrebbe essere proprio quello opposto, ossia di prendersi cura dei giovani cittadini in formazione che le vengono affidati?
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LA FORMA DELL'ACQUA
– di Giuseppe Tranchini, presidente Proteo Fare Sapere Napoli.
20 luglio 2022.
In questi due e passa anni da quell’otto marzo che mandò la scuola in DAD, il mantra “non sarà come prima”, nulla può essere come prima, si è sviluppato nella fiducia di una occasione da cogliere affidata al salvifico PNRR. La massa di risorse messe in campo pur non recuperando i tagli operati nel decennio precedente tale da riallineare l’investimento sulla scuola agli standard europei (oltre otto miliardi!) avevano ben fatto sperare in una svolta, tanto urgente quanto necessaria. Sta di fatto che quanto finora prodotto (le scelte fatte) e anticipato (le traiettorie disegnate) per visione e metodo, lasciano poco spazio all’ ottimismo.
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SEGNALIAMO IL SAGGIO DI FRANCO DE ANNA, CTS PROTEO FARE SAPERE, SU "POVERTÀ EDUCATIVA" E DINTORNI.
UNA RIFLESSIONE SULLE DINAMICHE DEL SISTEMA DI ISTRUZIONE, LE SUE CRITICITÀ E I POTENZIALI SVILUPPI.
Link al testo https://www.aspera-adastra.com/politiche-dellistruzione/sulla-poverta-educativa/
“…METTENDOSI ACCANTO”.
SULLA NEO-SEMANTICA PEDAGOGICA CHE PORTA FUORI STRADA
– di Raffaele Iosa, Cts Proteo Fare Sapere.
11 luglio 2022.
Dario Missaglia ha pubblicato un coraggioso articolo sulla cosiddetta “dispersione scolastica” e il PNRR (www.proteofaresapere.it) dal titolo “La variante semantica”.
Una critica dura e convincente sulle diffuse contraddizioni circa l’interpretazione, le ragioni e i possibili interventi per ridurre in Italia le bocciature e gli abbandoni scolastici fino ai NEET, e sui rischi di un welfare compassionevole che sta invadendo l’educativo con varie forme di “assistenzialismo riparativo” di incerta e quanto meno dubbia efficacia.
È lapidaria, al proposito, una citazione che Dario riprende da un recente saggio di Alberto Alberti (nostro comune amato maestro) che demolisce la bizzarra variazione che hanno oggi le parole utilizzate per spiegare il fenomeno con l’ormai invasivo termine “dispersione”. Parola da fumo atmosferico, in cui si descrive il “disperso” come una malattia individuale.
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INTORNO ALLA VARIANTE SEMANTICA. QUALCHE RIFLESSIONE
– di Eliana Romano, presidente Proteo Fare Sapere Sicilia.
7 luglio 2022
Quel che scrive il nostro presidente, Dario Missaglia, come sempre ravviva il lume del mio intelletto; costringe a porsi domande, ad interrogarsi, con la sua stessa modestia intellettuale e la medesima fermezza. Domande sui tanti problemi della scuola italiana e sulla piega con cui li si affronta.
È una piega sempre gualcita che nasconde, da qualche parte, la volontà di affrontare ritardi, disagi, distonie sempre superficialmente, a vantaggio magari di qualcuno che solo ogni tanto è la scuola reale.
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