L’accorata analisi di Dario Missaglia sulla cosiddetta pandemia secondaria non può non sollecitare riflessioni, da parte di un’associazione genitori che ha osservato senza pretese scientifiche, ma con grande passione quello che accadeva ai nostri ragazzi, in una relazione del tutto nuova con la scuola che la pandemia inaugurava.
La scuola è anche entrata con irruenza nelle case di questo Paese (non in tutte per la verità, segnando ancora una volta disuguaglianze e diritti che non sono stati esigibili, trasformandosi in privilegi – ma questo è un altro tema), la scuola dicevo si è presentata agli italiani, manifestando la sua complessità.
I genitori si sono dovuti improvvisare organizzatori degli spazi, del contesto, di relazioni con gli insegnanti, hanno fatto da procacciatori di fotocopie, di relazioni; controllori delle esecuzioni dei compiti assegnati, sono stati docenti improvvisati quando la scuola lo chiedeva, ma anche coach delle emozioni dei figli quando sopraggiungeva la stanchezza, la demotivazione o era necessario l’incoraggiamento.
Una complessità di professioni che appartenevano prima agli insegnanti e che hanno lentamente modificato la percezione sociale del ruolo degli insegnanti della scuola, curvando spesso in senso opposto quel calo di fiducia dell’opinione pubblica nei confronti dei docenti su cui tanto negli ultimi anni i media hanno infierito.
E nel contempo ai genitori l’osservazione dei nostri ragazzi sempre più solo “figli”, in una relazione del quotidiano stravolto e sempre più connotata da conflitti famigliari. Essere troppo figli fa male.
Mentre i più piccoli, i nostri duenni imparano a camminare in un mondo dove la relazione corporea è evanescente.
Sembravano le preoccupazioni espresse facili profezie di Cassandre, mentre la richiesta di una scuola in presenza manifestava sempre più la consapevolezza diffusa che la scuola è oggi il luogo, forse l’unico, in cui si entra in relazione: tra pari ma soprattutto tra generazioni.
Alle incerte e carenti risposte della politica relative ai trasporti, agli organici dei docenti, ai presidi sanitari, necessarie per ripristinare un diritto, spesso la scuola, quando riprendeva il suo corso rispondeva ai ragazzi con la logica del recupero.
Recupero per ripristinare al più presto la normalità, una normalità fatta di accelerazioni rispetto al feticcio di un programma da completare per dimenticare quanto accaduto e, ahimè, accadeva ancora.
L’idea che si dovesse passare ad una logica del risarcimento per un diritto negato ben lontana.
Una ripresa della scuola fatta di discontinuità, di paure, di frettolose e confuse indicazioni ministeriali.
Una scuola sempre più stanca che attende la soluzione naturale del problema.
Oggi le indagini della Sip (società italiana di Pediatria) o l’indagine dell’Osservatorio nazionale infanzia e adolescenza ci inchiodano con i loro dati sul malessere dei giovani.
Dati e non percezioni.
“Niente sarà più come prima” era lo slogan dominante ad inizio pandemia che oggi sembra dissolversi in una ripresa della normalità che ci vorrebbe indurre ad un’amnesia collettiva.
Ecco quindi gli esami di fine corso secondo le vecchie regole: tutto come prima ignorando anche la possibilità dell’ascolto dei giovani.
Bambini e giovani mettono il mondo adulto di fronte ad una responsabilità ineludibile: al governo in primis per la definizione di nuove politiche sanitarie, educative sociali mentre compone lo scacchiere del PNRR che sembra ignorare il tema della cura.
Alla scuola, ai suoi operatori cui va la responsabilità di un tempo nuovo, quello della cura fatto di stili di apprendimento, strategie di elaborazione, ritmi diversi, di attività atte a sollecitare una riappropriazione della scuola in termini di socialità, di senso di appartenenza, di partecipazione. Per fare della scuola luogo di parola, di espressione, di pensiero riflessivo e non riflettente. Indispensabili per ripristinare un diritto.
Noi sentiamo fortemente che la scuola è radicata nelle nostre vite, nel territorio che abitiamo, nella nostra responsabilità nei confronti di tutti coloro che mettiamo al mondo.
È difficile affrontare la complessità, ma è una sfida a cui non ci sottraiamo in un percorso che volentieri condivideremmo portando anche le paure, le angosce, le incertezze di questi tempi.
Angela Nava
Coordinamento genitori democratici