Associazione professionale Proteo Fare Sapere
22 febbraio 2022

Pedagogia della cura al tempo del Covid, Parte 2, Raffaele Iosa risponde a Dario Missaglia (vedi "Allarme rosso per infanzia e adolescenza", di Dario Missaglia)

LA CURA E LA DIDATTICA, PROPOSTE DI LAVORO

È il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante
Antoine de Saint- Exupéry, Il piccolo principe

Proposte per agire, stimoli per costruire il positivo
Questo testo è la seconda parte di un mio lavoro che ho inviato a Dario Missaglia, presidente nazionale di Proteo Fare Sapere, in risposta collaborativa della sua denuncia sulla disattenzione diffusa nelle scuole verso quella che lui ha chiamato “pandemia secondaria”, cioè le gravi crisi esistenziali prima che cognitive che stanno vivendo i nostri bambini e ragazzi.
In questa parte la mia riflessione sulla “cura educativa”, dopo la prima parte più generale, intende approfondire e suggerire alcune proposte concrete di lavoro educativo.
Si aprono sei mesi duri, con poche certezze. Potremmo avere situazioni varie in vari periodi, dal confinamento per positività, alla quarantena preventiva, al ricovero ospedaliero, sia per studenti che per insegnanti. Potremmo avere classi strappate a metà tra “presenza” e Dad.
Le decisioni del Governo per la scuola prevedono di fatto un sistema differenziato perfino da classe a classe, cioè non più il precedente modello del lockdown generalizzato a tutti nello stesso periodo a prescindere dalla  salute individuale. Questa è la novità essenziale da cui partire.
Inutile negarlo: una condizione molto difficile da gestire dal punto di vista didattico, che ha bisogno di due atteggiamenti professionali e organizzativi fuori dal canone classico dell’orario scolastico standard uguale per tutti:
            – la flessibilità didattica, preparandosi a gestire diverse situazioni, periodi diversi tra loro, condizioni diverse tra gli stessi alunni. Proviamo a rovesciare il dramma in opportunità: potrebbe essere il momento di utilizzare forme di flessibilità inedite che possono perfino essere più gradite ed efficaci del rito lineare tradizionale. Finalmente l’autonomia didattica prevista dal DPR 275/99 potrebbe diventare simpatica e certo utile, dopo vent’anni di amnesia e di boicottaggio. Servirebbe ai bambini e ragazzi fare una scuola sui loro tempi, non sul rito lineare settimanale.
           – l’accomodamento ragionevole. Utilizzo qui un ben termine ripreso dalla Carta dei diritti della persona con disabilità dell’ONU del 2006, allargata a tutti i nostri bambini e ragazzi.            
           Adattamento è  la capacità di fare istruzione il meglio possibile nelle condizioni  date,  che ci obbligano a mettere al centro i  ragazzi più che le discipline. Ce lo chiede la loro condizione esistenziale, che ha bisogno di  opportunità di apprendere  come lievito di curiosità, coinvolgimento, desiderio,  passione.
           Ragionevole è accettare che questo non è un periodo normale, che non si può ripetere il passato in forme ristrette,. ma che conviene puntare ai saperi e alle esperienze essenziali, non pretendendo quantità ossessive ma conoscenze e competenze fluide e interconnesse. 
Partendo da queste due pre-condizioni, presenterò qui alcune proposte per una buona pedagogia della cura attraverso alcune idee-stimolo, esempi-tipo, senza pretesa di una summa, mettendo insieme una buona cura educativa e una buona ragionevole didattica.  
Ovviamente sono schegge di azioni  perché mi fido della fantasia e creatività degli insegnanti, se riacquistano  l’autonomia didattica libera, pur troppo scippata in questi anni.

1.  Il perdere tempo
I lettori più attenti si saranno chiesti perché ho posto all’inizio una frase del Piccolo Principe. 
Si parla della sua relazione con una rosa cui ha dedicato molta cura e attenzione. Il valore sta in quel perdere tempo che, come si sa dalla storia, è stato tempo intenso. Nel  perdere tempo sta la mia prima proposta di cura. Significa preoccuparsi meno del calendario  e più del tempo di cura che si passa parlando, riflettendo, creando comunità di parola e di ascolto tra noi e loro.
È evidente che avere cura non è perdere tempo, ma anzi guadagnarlo nello sviluppo di significati, emozioni, confronto di esperienze, saper connettere eventi ed emozioni. È per me una fase essenziale della cura, diversa ovviamente secondo le diverse età. Dare tempo alla parola e al pensiero sui vissuti interiori è in questo momento centrale per una relazione educativa di cura. Non serve a fare una specie di “ricognizione indiretta” dei diversi dolori, ma invece a socializzare i diversi stati e darne una ragione e un senso. Potrebbero nascere molte connessioni anche con i saperi esterni ai ragazzi, che avrebbero al centro non un certo capitolo di un manuale ma “un interesse” reale dei nostri studenti. Dario Missaglia sostiene che questo è tempo di lavoro, che andrebbe registrato in un diario, e sono proprio d’accordo: non è perdita di tempo, ma guadagno di senso. Un tempo professionale autentico che va riconosciuto.
Il perdere tempo è una suggestione pedagogica per il brutto tempo presente che mi affascina per la sua intrinseca utilità ma anche per il valore solidaristico e civico che produce.

1. Una cura educativa al telefono
Un piccolo suggerimento-stimolo che potrebbe avere diverse varianti e che tocca un tema centrale nella cura: il saper agire verso ogni persona partendo dall’individualità.
Accadrà ancora nei prossimi mesi che i bambini e i ragazzi debbano stare a casa o perché contagiati o perché in quarantena.
Potrebbe quindi essere una buona consuetudine se l’insegnante si fa vivo con una telefonata per salutare il suo studente, sapere come sta, fare due chiacchiere. Ovviamente anche questo  è per me tempo vero di lavoro. Questo contatto diretto e individuale, perfino sorprendente per chi lo riceve,  ha un significato pregnante a fronte di un ragazzino chiuso in casa e pieno di paure. Dà il segno dell’I CARE, dell’ “io ti penso”, del sapere che non sei solo. 
Quest’idea me l’ha data un bambino triste di 5.a primaria che ha scritto a maggio 2020 alla maestra un messaggino che mi ha commosso. Scrive così: “Maestra, scusami se ogni tanto ti telefono. Te dici sempre che dobbiamo essere ottimisti. Allora quando sono nervoso ti chiamo. Sento la tua voce e mi calmo”.  Questo si aspettano i bambini da noi: l’ascolto e la calma.
Se ogni ragazzo chiuso in casa per quarantena ricevesse una telefonata dal suo prof non se la dimentica più. Forse studierà anche più volentieri al ritorno a scuola. 
"Sento la tua voce e mi calmo”. La voce capite? Non le tabelline o la storia. Straordinaria lezione di quanto possiamo contare per loro.

1. Lavorare per curricoli adattati e ragionevoli:  l’autonomia creativa
È probabile che il calendario delle lezioni verrà spesso travolto dalle varie vicissitudini del COVID. Potrebbero essere assenti anche alcuni insegnanti.
È forse giunto il momento  del coraggio della flessibilità curricolare, adattata secondo le diverse condizioni, ore utili e flessibili secondo la situazione di fatto. Questo non è difficile in una scuola primaria e facilissimo in una dell’infanzia. Ma è ora che ci provino anche le medie e superiori.  Porto qui alcuni esempi da sviluppare.

3.1  Pratiche di flessibilità organizzativo-didattica
Si potrebbero sperimentare curricoli con didattiche brevi aggregando più ore di una disciplina per settimana.
Si potrebbe lavorare per centri di interesse che coinvolgono più insegnamenti, in cui l’intercambiabilità dei docenti facilita il lavoro, anche con una ricerca degli snodi essenziali.
Si potrebbe lavorare più frequentemente per gruppi laboratoriali, in cui la questione presenza e distanza potrebbe essere adattata a gruppi che condividono un comune lavoro.
Più in generale, è opportuno che in questo periodo si utilizzino il più possibile pratiche di didattica attiva,  in forme flessibili. Proprio la cura necessaria ci chiede di dare ai ragazzi opportunità di apprendimento come protagonisti, interagenti,  ricercatori e comunità. Potrebbero essere moduli interdisciplinari, ma comunque (nel rispetto delle regole) momenti e eventi in cui il ragazzo fa con gli altri, non solo ascolta.

3.2  Pratiche di  metodologica didattica attiva
Ed ora alcuni suggerimenti di carattere metodologico-didattico, tra le molte possibilità, spesso già note. Sono alcune proposte-stimolo nel vasto panorama didattico, che mettono insieme l’innovazione didattica  con una migliore “cura” della fase emotiva e sociale dei nostri ragazzi.
Tutti i suggerimenti qui proposti hanno carattere di attivismo, di comunicazione interpersonale, di ricerca e possono avere adattamenti di grande flessibilità, anche potendo realizzarsi in forme “miste” con ragazzi in presenza e contemporaneamente in Dad.

            Flipped classroom. Cioè le classi rovesciate, dove i ragazzi si documentano e fanno ricerca su un certo tema prima che se ne parli a scuola. Poi, nell’aula virtuale o fisica, discussione e presentazione da parte dei ragazzi del loro punto di vista, con un lavoro di scaffolding socratico del docente che lievita ed alimenta la discussione per giungere ad una consapevolezza comune.

            I brevetti alla Freinet. attività individuali di studio-ricerca autonomamente scelte che ogni ragazzo approfondisce partendo dalle proprie passioni e interessi, che poi presenta nel gruppo di pari, come esperienza di comunicazione orizzontale, effetti di cooperazione,  e auto-valutazione possibile da parte dello studente.  Scrivendo questa proposta, mi sono ricordato della mia antica scuola media (anni 63-66) in cui il prof. faceva un po’ il Freinet, probabilmente non conoscendolo. In geografia in prima ci ha fatto scegliere una regione da far diventare ”nostra”, in seconda uno stato europeo, in terza uno extraeuropeo. Curiosa è la mia scelta: in prima il Friuli VG (terra dei miei nonni), in seconda l’Austria (perchè mio padre era andato a Vienna a veder la finale di coppa campioni Inter – Real Madrid, gol di Mazzola), la terza l’Argentina perché avevo lì uno zio prete salesiano. In tutti e tre gli anni ricordo ricerche appassionate (dai libri alle foto alle cartoline, ecc..), dall’Argentina mio zio mi scrisse una lunga lettera geo-politica e materiale. Nel lavoro d’aula ad ognuno di noi veniva chiesto di presentare “la sua” regione o nazione. Questi tre luoghi geografici mi sono ancora oggi un po’ rimaste nel cuore.

            Freedom writer. Se qualcuno ha visto il film mi capisce: una classe di ragazzi di una zona disperata della California, un’insegnante intelligente  propone loro di scrivere un diario personale con tutte le cose che gli passano nella loro tormentata mente. Ne esce un capolavoro didattico e l’incontro con… Anna Frank e il suo diario. La scrittura come comunicazione e riflessione è aspetto importante dello sviluppo, individuale e collettivo.  Vi possono essere molte varianti che oggi con la tecnologia si possono fare a prescindere dall’aula fisica e dall’orario settimanale. Penso alla corrispondenza scolastico con classi e scuole di altri luoghi. Ma potrebbe essere anche la ripresa del giornalino scolastico, che oggi i computer rendono possibile colorati e ricchi.

            La scrittura collettiva. Più seriamente, amo proporre la scrittura collettiva di don Milani e di Mario Lodi: un lavoro che parte da testi individuali, costruisce con una discussione collettiva un testo comune condiviso. Un’operazione cooperativa di grande efficacia relazionale, e di civismo.

            La cura tra pari.  In questa fase la relazione con i compagni di classe e di scuola è già di per sé un evento di cura. Dunque, sia che siano a scuola sia che siano a casa, si devono favorire forme di comunicazione, di solidarietà  e di auto-aiuto tra compagni di classe come forma comunitaria  di uscirne insieme. Sarebbe anche un eccellente modo di sostituire quelle cose orrende dette “recuperi”  con pratiche di apprendimento dove ci si aiuta a vicenda.

Questo è il momento di rovesciare la sventura del COVID con una nuova avventura pedagogica, che non solo aiuti i ragazzi, ma dia anche un senso di cambiamento  positivo per gli insegnanti. Anche loro hanno bisogno di passare dalle isole separate per discipline a comunità realmente educanti, non a parole.

1. Non dimentichiamo la disabilità
Gli alunni con disabilità hanno pagato i diversi lockdown e le restrizioni legate al COVID molto più di tutti gli altri compagni di classe. Su di loro una pedagogia della cura deve essere ancora più attenta e di adattamento ragionevole.
Nella crisi complessiva dell’inclusione nelle nostre scuole, il COVID ha reso ancora più isolati e soli questi bambini e ragazzi. Sarebbe grave se si tornasse a circolari ministeriali che rendevano possibile il loro ritorno a scuola “da soli”, tanto per fare badantato, o magari (se la scuola è buona) con alcuni altri bambini o (peggio) con altri disabili . Cioè l’anticamera delle scuole speciali.
Paradossalmente, in questa fase tutti i bambini e ragazzi hanno vissuto una forma di vita complicata che può  più facilmente far comprendere a tutti (insegnanti e ragazzi) cosa voglia dire avere un qualche handicap.  Può essere una grande occasione di condividere insieme, e non separati per categorie, questa fase difficile. Insomma l’inclusione serve a tutti.
Molte delle proposte-stimolo sulla flessibilità didattica sopra presentate, infatti, possono facilitare l’accoglienza dei nostri studenti con disabilità, ognuno titolare di un pensiero, di desideri e passioni, ma anche dolori. Perché l’accoglienza diventi invece un’appartenenza a pieno titolo.
Questi sei mesi sono importanti per costruire azioni di una nuova gruppalità solidale tra pari. Ne hanno bisogno tutti, anche gli altri. Perché la solidarietà serve a tutti reciprocamente, aiutare e aiutarsi. Perché, come sempre, sortirne insieme è la Politica.
Qui mi fermo. Non parlo qui del futuro più lontano dei prossimi sei mesi. Mi pare già tanto provare a non perdere o sfasciare la scuola in questo breve periodo. Breve ma delicatissimo, perché la crisi COVID rischia di lasciare troppi segni permanenti. È adesso l’ora di reagire e di ripensare al pedagogico. La pedagogia della cura è il nostro orizzonte attuale.

Raffaele Iosa